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Il trench: dalla guerra alla moda, passando per il Noir

In vista delle prossime feste all’insegna dei colori autunnali e dell’atmosfera tenebrosa, vi parliamo oggi del trench, must have di questa stagione di cui forse non conoscete la storia.

L’origine militare

Il nostro guardaroba nasconde spesso l’origine militare o sportiva dei capi diventati di uso quotidiano. Le parole per definirli con il tempo infatti si desemantizzano facendone
perdere le tracce. Se analizziamo il termine inglese con cui è conosciuto l’iconico impermeabile doppiopetto, ne scopriamo la prima destinazione. Il “trench coat” infatti nasce letteralmente come “cappotto da trincea” all’alba del Novecento, anche se la britannica Burberry li produceva dal 1865. Iniziò nel 1901 a realizzarli su commissione del Ministero della Guerra per l’esercito inglese, che lo portava come divisa.

Oggi come allora, il trench coat è in tessuto gabardine ed è dotato di dettagli che lo rendono multifunzionale e inconfondibile. È impermeabile, con spalline per riporre un berretto arrotolato, abbottonatura doppiopetto per avvolgere al meglio il corpo, e, come ulteriori protezioni dalle intemperie, un sottogola, la cintura e una falda triangolare da abbottonare. Essendo la gabardina un tessuto leggero, veniva indossato sopra capi più caldi. Nei trench contemporanei spesso troviamo degli anelli schiacciati su un lato, reminiscenza di ganci pensati per appendere guanti, bombe a mano e altri piccoli strumenti.

Terminata la Prima Guerra Mondiale, lo “spolverino” dimentica la polvere da sparo ed entra nell’uso comune grazie alla sua praticità e al costo accessibile. Uno dei primi capi genderless, trasversale e sempre attuale, nonostante i suoi quasi 160 anni. Essendo un capo “over” e adatto alle giornate piovose, praticamente non ha stagione: è il primo capo che si indossa alle soglie dell’inverno e si rispolvera quando si abbandonano cappotti e imbottiti.

Dalla strada alle dark ladies

Fino a qualche decennio fa in Italia l’abbigliamento proveniente da altri paesi veniva denominato con il termine in francese, essendo stata per molti anni Parigi a dettare le tendenze. Il “trench” di oggi veniva quindi chiamato per metonimia “gabardine”, dal tessuto con cui è realizzato. Tradizionale, molto pettinato e asciutto, dall’armatura a saia diagonale e molto fitta e dalla superficie lucida, utilizzata soprattutto in colore coloniale.

Dalla semplicità del quotidiano, il trench riceve una decisiva consacrazione dal mondo del cinema che gli assegna una particolare connotazione. Diventa il capo culto del genere Noir che si afferma a partire dagli anni Quaranta. Molto spesso infatti viene indossato da personaggi ambigui e scuri – come investigatori, spie e ladri – che si vogliono confondere tra la folla. Ma anche donne pericolose e manipolatrici che nascondono intrighi e congetture. Velate dall’essenzialità di un capo unisex, sono infatti le dark ladies ad essere spesso identificate attraverso questo capo. Nelle tasche custodiscono una pistola, nel volume della gabardina gli abiti con cui camuffano la propria identità per portare a termine trame criminali. Indipendenti e affascinanti, rivendicano un ruolo incisivo nella società, anche se fuori dalla legge.

Tra le stelle Hollywood che hanno reso immortale l’allure misteriosa del trench annodato in vita, tuttavia la più celebre resta Humprey Bogart. Collo rialzato e cappello fedora calato sulla fronte lo caratterizzano nella scena finale del cult movie Casablanca del 1942. Ma lo indossano anche molte dive, da Marlène Dietrich in Testimone d’accusa, a Veronica Lake, fino alla perfida Miranda Priestly nel Diavolo Veste Prada. Gli esempi sono infiniti, il detective Marlowe, l’Ispettore Clouseau della Pantera Rosa, il tenente Colombo, e ancora Dick Tracy, uno spietato Alain Delon in Faccia d’angelo, l’ispettore del futuro Harrison Ford in Blade Runner.
Tuttavia, oltre a tutto questo mistero e pericolo imminente, una delle scene più romantiche della Storia del Cinema è il bacio della scena finale di Colazione da Tiffany, l’affascinante Greorge Peppard e la mitica Audrey, due impermeabili abbracciati sotto la pioggia a Manhattan.


Alessandra Lepri
Giornalista e comunicatrice, con una laurea in Filologia Romanza nel cassetto, ha scritto per riviste internazionali specializzate destinate al trade e curato rubriche sulle tendenze di Moda. Ha intervistato i grandi protagonisti del settore dagli anni Novanta ad oggi, per magazine, emittenti tv e radio e insegnato nelle più importanti scuole di Moda italiane. Attualmente cura la Comunicazione e Ufficio Stampa per uno storico brand di accessori. È appassionata di abiti con la spietata attitudine di una “serial shopper”.

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