Fashion Journal

Stampa Tessile

Camiceria, un pattern senza tempo

Cosa sarebbe la storia della camicia senza i motivi camiceria? Per addentrarsi nel racconto di questo pattern bisogna partire da lontano quando la camicia era un capo knitwear.
Già presente in epoca romana, usata sotto la veste, nel corso dei secoli si è caricata di simboli e significati fino alla sua “emancipazione” alla fine del 1500 quando si iniziano ad intravedere le maniche, primo tentativo di ostensione. Dalla metà del 1800 subentra il colore – si pensi alle camicie garibaldine – e in Pennsylvenia, in risposta a un’esigenza di calore e comodità dei lavoratori, Woolrich crea la camicia a check in flanella tinta in filo.

LA VARIANTE STAMPATA, DAL FLOREALE AL FOULARD FINO AL TROPICAL

Ma da quando esattamente la camicia diventa stampata? Bisogna aspettare gli anni ’30 e più precisamente la crisi finanziaria del 1929 che sancisce la fortuna dei tessuti stampati che, costando meno di quelli a telaio, vedono un’ampia diffusione.
La donna di questi anni è segnata da un romanticismo triste che si esprime in pattern di fiori fitti dalle forme leggermente ammorbidite ma ancora stilizzate, e da piccoli motivi che giocano sul contrasto blu-bianco. Sono gli anni in cui inizia a lavorare in ufficio e a indossare il tailleur: è “mascolina” e l’unico elemento che la connota è rappresentato dalla blusa stampata.
Finita la guerra, la moda degli anni ’50 è manifesto della rinascita economica e sociale: le donne riacquistano femminilità e la camicia viene esaltata da Emilio Pucci attraverso le sue stampe foulard dai colori e dalle tematiche singolari come le bellezze d’Italia, la Primavera di Botticelli, la Collezione dedicata al Palio di Siena.
Nel mondo maschile, invece, lo stile è dettato, tra gli altri, da Elvis Presley che spopola con le sue camicie hawaiane e grazie a lui la camicia tropical diventa un cult.

L’EVOLUZIONE FINO AGLI ANNI ’90

È poi tempo delle contestazioni giovanili. I Sixties sono anni in cui la moda diviene lo strumento con cui sottolineare la propria identità e la camicia il capo con cui osare. Le stampe hanno motivi paisley e floreali, simboli della cultura hippie, si accendono con colori sgargianti, pattern optical, pois e geometrie.

Le forme di libertà trionfano negli anni ’70 e la moda è all’insegna dell’ecclettismo. L’optical diventa una vera e propria mania che pervade le camice dal taglio svasato, lo stile etnico indiano fa breccia nella comunità hippie e il Liberty of London si fa strada.

Successivamente, gli anni ’80 si distinguono per aver catalizzano fenomeni quali la nascita di internet, l’introduzione degli effetti speciali nel cinema, il crollo del muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda, la musica dance e averli restituiti in subculture quali i Punk con le stampe a quadri e i Paninari con i motivi di Naj Oleari. Torna la camicia hawaiana grazie a “Magnum P.I.”, furoreggia la camicia jeans e vanno le stampe cachemir e optical, accanto a fantasie alla Memphis e a colori fluo.

Infine si arriva agli anni ’90 che continuano a vedere la camicia plaid come must, comodità e unisex come imperativi.
In questo panorama si inserisce il fenomeno italiano delle camicie a marchio Emmanuel Schvili, dalle più tradizionali con ricami sul cannoncino a quelle più comiche della serie Vestirsi per divertirsi con i personaggi dei cartoon.

La camiceria è quindi un motivo senza tempo, di cui è possibile approfondire l’evoluzione grazie ai migliaia di disegni tessili del Fondo Renzo Brandone custoditi nel polo archivistico di Fashion Research Italy.

Immagini: camicie Emmanuel Schvili conservate nell’archivio personale dei proprietari del brand; pagina pubblicitaria custodita nell’archivio FRI unitamente ad una parte di disegni e ricami a tema cartoon.


Silvia Zanella
Archive Assistant dell’archivio della Fondazione Fashion Research Italy di Bologna, si è occupata della catalogazione e del condizionamento dei diversi fondi archivistici sin dalla loro costituzione, svolgendo anche attività di formazione sulle tematiche dell’archivistica di moda e dei processi di stampa tessile. Ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’Arte presso l'Università di Firenze e nella medesima città ha svolto uno stage post laurea presso il Museo Salvatore Ferragamo, dove ha collaborato all'organizzazione della mostra Un palazzo e la città, affiancando le attività della Direzione.

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