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I vertici del sistema insieme per rilanciare la moda italiana

La ripresa delle attività è prorogata al 3 maggio, ma il governo sottolinea come il ritorno alla normalità, economica e sociale, richiederà tempi molto più lunghi che comporteranno una necessaria convivenza con questo virus.

Il consiglio dei ministri ha quindi iniziato gradualmente a dare il via libera alla riapertura di alcuni esercizi commerciali con restrittive prescrizioni per la massima tutela della salute. Tra i primi librerie, cartolerie e negozi di abbigliamento per l’infanzia ma si attendono a breve nuove indicazioni per le prossime settimane. Dopo i numerosi appelli dei vertici della moda nazionale sui rischi di prolungare il lockdown, tra i comparti candidati a ripartire la speranza è che in prima linea, insieme all’automotive e alla metallurgia, ci siano anche tessile e abbigliamento esportatori del 41% del prodotto moda europeo.

La necessità di riaprire in sicurezza

Il fermo sta infatti mettendo a dura prova le oltre 65 mila manifatture che compongono la filiera moda che, con un fatturato di 95 miliardi di euro, costituisce la seconda voce economica del paese. Un modello complesso che coinvolge più di 600 mila artigiani di piccole e micro-imprese che custodiscono ciascuno una parte di quel saper fare tramandato di generazione in generazione che rende l’Italia un unicum mondiale.

Carlo Capasa, Presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana – dichiara: “È un settore con dinamiche particolari che vanno comprese. Vedo riunirsi moltissime commissioni ma senza esperti di moda”. Palazzo Chigi si è infatti affidato ad una task force guidata dal manager Vittorio Colao al lavoro in questi giorni sulle proposte per la ripartenza della “fase 2”. Tra gli esperti manca però una rappresentanza degli imprenditori della moda.

Tredici punti esecutivi

Pertanto Altagamma, Camera Nazionale della Moda Italiana e Confindustria Moda, si sono per la prima volta unite per rivolgere al premier Conte una proposta esecutiva per ripartire in tempi rapidi. 13 punti che suggeriscono soluzioni in linea con le reali necessità del settore per fronteggiare l’emergenza e rafforzarne la competitività nel medio e lungo periodo.

“Abbiamo spiegato al governo che la nostra è un’industria stagionale. Se sommiamo le vendite saltate e la difficoltà di proporre le nuove collezioni, rischia di perdere 50 miliardi” dichiara Capasa al Corriere della Sera.
Seguito da Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda e imprenditore di Herno che a Pambianco aggiunge: “Se le attività non riprenderanno urgentemente, rischiamo di veder scomparire il 50% delle nostre aziende. Non solo, per ogni piccola e media impresa italiana che dovesse chiudere, ce ne sarebbe una straniera pronta a prenderne il posto. Significherebbe danneggiare la seconda più importante industria manifatturiera del Paese, principale contributore al saldo positivo della bilancia commerciale”.

La salute al primo posto

Certamente la riapertura deve avvenire nella massima sicurezza e c’è dunque bisogno di regole per coordinarne le modalità. Nasce da questa necessità il Protocollo Condiviso del Settore Moda siglato da Confindustria Moda insieme alle organizzazioni sindacali nazionali di categoria Femca-Cisl, FilctemCgil e Uiltec-Uil. Dai mezzi per raggiungere il posto di lavoro, agli ingressi scaglionati, fino alle policy di gestione, pulizia e sanificazione degli spazi comuni e protezione individuale dei dipendenti. Non manca inoltre una riflessione più ampia sulla necessità di un’organizzazione aziendale più flessibile che contempli dove possibile anche nuove soluzioni, tra cui lo smartworking.

Lo sguardo al futuro del sistema

Lunelli, Capasa e Marenzi ospiti all’appuntamento di giovedì 16 con L’Italia che investe, livestreaming di Corriere della Sera, interrogati dal Vice Direttore Daniele Manca, concordano che l’Italia è un’eccellenza non solo nella produzione ma anche nella creazione di nuovi modus operandi. Comportamenti virtuosi che devono essere mantenuti anche una volta usciti dalla pandemia, da sfruttare come un’occasione per migliorare l’intero sistema.

Oltre alle misure di emergenza per affrontare la tempesta, occorre anche investire in ricerca e sviluppo per affrontare la ripresa a lungo termine

Reshoring e digitalizzazione

Tra le priorità, due grandi insegnamenti tratti dalla crisi che ha investito questo 2020: investire nel tempo nel reshoring e nella trasformazione digitale. Lunelli a L’italia che investe: “Oltre all’alto di gamma, che già si avvale quasi interamente di fornitori e manodopera italiana, alcuni ambiti nazionali sono ancora parzialmente legati a produzioni estere, che questo può essere il momento favorevole per riportare nel nostro paese”.
Concorde Marenzi che sottolinea la necessità di aiuti da parte del governo con cui il sistema ha bisogno di confrontarsi direttamente. “Fino a qualche mese fa, il discorso era incentrato sul fare più produzione in Italia. Tra qualche mese, a mio avviso, ci sarà da riportare anche quella che abbiamo perso in questi mesi. Detto ciò, bisogna operare sul cuneo fiscale, perché se il nostro costo del lavoro rimane quello di adesso il reshoring è impossibile. Dobbiamo far sì che in Italia si possa lavorare con una competitività pari a Spagna, Portogallo, Romania, all’Europa in sostanza”.

Importante anche la richiesta a supporto al settore turistico che, con i viaggi dei buyer internazionali, ha permesso finora di mantenere il 25% del mercato globale del lusso. Capasa conclude: “Dobbiamo collaborare per trovare le soluzioni migliori per tutti, tutte le filiere sono sulla stessa barca”.

Occorre infine un cambio di mentalità delle aziende per superare il gradino concettuale che porterà ad una moda digital first. Ci si abituerà ai nuovi percorsi informativi e di acquisto dei consumatori man mano che la creazione di contenuti digitali diventerà la principale modalità di interazione con i marchi.

La resilienza del fashion system

L’invito è dunque quello a prestare più attenzione al settore sfruttandone la capacità di reazione che in questi anni ha concesso di ottenere una leadership internazionale.

Gli imprenditori dell’industria culturale e creativa, tra cui la moda, la gioielleria e il design, rappresentano una locomotiva del nostro Paese. Sono stati tra i primi a dimostrare una straordinaria responsabilità sociale, intervenendo in sostegno delle strutture sanitarie con produzioni dei dispositivi più necessari, donazioni per oltre 41 milioni di euro e contributi concreti ai propri territori. Ora sono ambasciatori di un nuovo modo di approcciare il consumo e la moda nei prossimi 18 mesi.

Dicono che i tempi difficili siano terreno fertile per esplosioni di creatività e innovazione, due tra i nostri tesori nazionali che non si sono mai fermati. Il periodo buio che stiamo attraversando ci ha costretti a concentrarci sul qui e ora ma ha lasciato spazio per un tenace e positivo sguardo al futuro.

Una volta che torneremo alla vita, ci sarà bisogno di bellezza, quella bellezza che è il vero scopo dell’industria della moda e del lusso che più volte si è dimostrata in grado di reinventarsi.

Anche in questa occasione non possiamo quindi che restare fiduciosi sulla prossima ripresa e sul potenziale del settore.


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