Fashion Journal

Icone della moda

Un divo chiamato Marlon

Si celebra quest’anno il centenario di uno dei più grandi divi del Cinema, Marlon Brando, che ha rivoluzionato le tecniche di recitazione e influenzato intere generazioni di ribelli e naturalmente la Moda

La nascita di un divo

Bellissimo, controverso, controcorrente, istintivo, eppure meticoloso nelle sue leggendarie interpretazioni. Marlon Brando ha segnato indelebilmente la Storia del Cinema. Con la sua vita tumultuosa e coerente ha inevitabilmente trasformato l’immaginario dello star System di Hollywood. Divo e antidivo al tempo stesso, divino e dannato, personalità debordante e protagonista anche quando destinato a piccole apparizioni o in memorabili camei d’autore, ha fatto parlare di sé e della sua immagine anche con l’assenza (rifiutando platealmente un premio Oscar nel 1973 per il film Il Padrino per esprimere solidarietà per la comunità dei Nativi Americani).

Ha influenzato anche la moda, indossando sulla pelle sudata una attillatissima t-shirt, indumento intimo, portando sullo schermo, oltre ai muscoli scultorei, una modo di esprimersi che trasferiva erotismo, inquietudine e tensione drammatica anche attraverso il corpo. Era il 1951, intensa interpretazione del film “Un tram chiamato Desiderio”, seguita da altri ruoli memorabili, tra cui “il Selvaggio” del 1953, che, un anno prima di consacrarlo definitivamente con il premio Oscar per “Fronte del Porto”, rende leggendaria la sua immagine a cavallo della Triumph con blue jeans e il giubbotto da biker più iconico di sempre, il modello Perfecto “one star” della Schott.

Il Perfecto, un’icona senza tempo

Creato nel 1928 per i motociclisti è diventato un capo di culto, reinterpretato dalle sottoculture giovanili, dalla strada alla passerella, ispirazione costante per stilisti e marchi di abbigliamento sportivo, che ne hanno proposto rielaborazioni, ricostruzioni e intriganti variazioni sul tema. Il suo vero nome è “Perfecto”, omaggio al sigaro cubano preferito dal suo ideatore, Irving Schott, produttore di giubbotti in pelle. Esisteva dalla fine degli anni ’20, ma è Marlon Brando che lo rende icona nel 1953 immortalando per sempre il mito del ribelle, e la generazione del secondo dopoguerra, ai margini della società perbenista americana, lo elegge a bandiera. Come molti cult della moda si afferma sulla strada, sul rovente asfalto percorso dalle moto degli Hell’s Angels, i reduci devastati e trasformati dagli orrori bellici, che trascorrevano il tempo fra scorribande in moto, pub e risse. Disadattati che incarnavano e rappresentavano una corrente anticonformista ai margini della società che si faceva strada e che avrebbe lasciato segni profondi nella storia. Il modello originale indossato da Marlon Brando è in cuoio di cavallo con 4 cerniere, ideale per proteggere i motociclisti e agevolarne i movimenti. 

Oltre il mito: la giacca in pelle come simbolo di controcultura

Due anni dopo queste stesse inquietudini generazionali, fino ad allora assenti sul grande schermo, incoronarono un altro divo, James Dean, che entrò nel mito con soltanto tre pellicole all’attivo, e consacrò definitivamente il look del “ribelle senza causa” nel cult movie Gioventù Bruciata (Rebels without cause). Questi giovani ribelli contro le guerre ingiuste, gli schemi sociali oppressivi, il moralismo della società americana patinata del dopoguerra, esprimevano il disagio e covavano i germi della rivolta a cavallo della Harley Davidson con una t-shirt in cotone (anch’essa retaggio dell’abbigliamento militare) al posto della camicia inamidata imposta dai genitori, blue jeans, stivaletti e giubbotto in pelle nera. Dal Cinema il “chiodo” passò alla musica, dopo una breve parentesi hyppie, leggera e multicolore. I nuovi ribelli, ancor più duri e irriverenti venivano dal Regno Unito. Erano i Punk sul finire degli anni Settanta. Band inglesi e americane come The Stooges, Ramones, Sex Pistols, Dead Boys, The Damned o Clash rispolverarono questo capo, dandogli un’accezione ancora più estrema e aggressiva. Sid Vicious lo indossava direttamente sulla pelle. In quegli anni Vivienne Westwood, trasformò il chiodo in pelle in capo d’abbigliamento di tendenza. Dalla Musica alla Moda.  Poi arrivò Yves Saint Laurent, che lo inserì nelle collezioni assieme a gonne e pantaloni. 

Successivamente nessuno stilista si lasciò sfuggire l’occasione di inserire questo capo spalla, versatile e irresistibile, a fasi alterne nel corso della moda, e ancora oggi la moda non può farne a meno.

“Chiodo”: la storia di un nome nato per caso

In Italia questo tipo di giubbotto venne chiamato “chiodo” nel 1974, un appellativo nato quasi per caso, dopo che un rivenditore torinese di prodotti americani per biker (e trend setter dell’epoca) aveva arricchito un modello con borchie di metallo. Un passante commentò il capo esposto chiamandolo “chiodo” e da allora prese questo appellativo senza separarsene mai più. 


Alessandra Lepri
Giornalista e comunicatrice, con una laurea in Filologia Romanza nel cassetto, ha scritto per riviste internazionali specializzate destinate al trade e curato rubriche sulle tendenze di Moda. Ha intervistato i grandi protagonisti del settore dagli anni Novanta ad oggi, per magazine, emittenti tv e radio e insegnato nelle più importanti scuole di Moda italiane. Attualmente cura la Comunicazione e Ufficio Stampa per uno storico brand di accessori. È appassionata di abiti con la spietata attitudine di una “serial shopper”.

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