La moda, tra digitale e reale: ne parliamo con Tecla
Chi non si fa tentare dallo shopping online con un click dal proprio iPhone o computer? E volano le ore a curiosare, cercare e aggiungere al carrello digitale abiti e accessori.
Si pensa e ci si ripensa, a volte andando a provare nel negozio in città quel capo visto online per cui è scoccata la scintilla. Una volta entrati in negozio, solo chiedendoci il nostro nome, chi ci accoglie può già venire a conoscenza di cosa chiederemo e vorremmo valutare!
La tecnologia sta diventando sempre più piacevole ed efficiente, la navigazione facile e veloce. Ma non solo: l’interazione del mondo – e dei dati – digitali con il mondo reale è ormai collaudata, in un flusso continuo e in uno scambio invisibile di servizio e informazioni personalizzate.
Chi e come si lavora dietro lo schermo dei computer dei marchi della moda? In che direzione stiamo andando?
Ne abbiamo parlato con due professionisti del settore, Monica Panzavolta e Fabrizio Borghesi, rispettivamente consulente Digital Transformation e consulente Customer Engagement di Tecla, digital company che guida le aziende moda, retail e B2B nei loro percorsi di Digital Transformation vendite e marketing, unendo strategia, tecnologia e creatività. Tecla è stata tra le prime a intuire e sperimentare, già 20 anni fa, le potenzialità del digitale e dell’e-commerce.
Monica e Fabrizio sono Lecturer del corso Fashion E-commerce Management della Fondazione Fashion Research Italy, di cui si sta mettendo a punto la seconda edizione.
Il vostro biglietto da visita riporta: “Digital Transformation Consultant” per Monica e “Customer Engagement Consultant” per Fabrizio. Cosa significa e in che cosa consiste il vostro lavoro?
Monica Panzavolta. Affianchiamo le aziende nel loro percorso di Digital Transformation Sales & Marketing: prima eseguiamo un’analisi dei processi reali, per identificare le priorità e le criticità da risolvere, e sempre guardando agli obiettivi di business dell’azienda che stiamo seguendo, individuiamo gli step per raggiungerli. Proponiamo una road map di trasformazione digitale, un “to be”, che permetta al nostro cliente di raggiungere nuovi mercati, o nuovi clienti, o fidelizzare quelli esistenti. In una parola, che gli permetta di crescere cambiando e guardando al futuro.
Che cosa vuole dire Digital Transformation?
MP. Intraprendere un percorso di Digital Transformation in ambito B2B (business to business, ndr) o B2C (business to client, ndr) significa ripensare il modo in cui l’azienda interagisce con i propri clienti, fornitori e dipendenti, grazie alla velocità e alla facile adozione delle informazioni e dei flussi digitali. L’obiettivo prioritario di questo percorso è migliorare la Customer Experience, condizione indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di business (migliore redditività, ingaggio di nuovi mercati…).
Digital Transformation significa informare tempestivamente i clienti sulle caratteristiche dei propri prodotti e/o servizi e sulla loro disponibilità grazie a una presenza digitale 24/7, per essere visibili e raggiungibili in modalità omnichannel e personalizzata, fornendo il contenuto giusto al momento giusto sul canale giusto.
Di cosa hanno bisogno le aziende e i marchi di moda?
Fabrizio Borghesi. Non per forza la tecnologia è per ingegneri e informatici. Quello che le aziende chiedono sono sempre di più figure che sappiano avere un ruolo di traduttori. Non per forza devi capire come è fatto un software: devi sapere come funziona, quali problemi può risolvere e in che modo si integra con il sistema, ma non necessariamente saperlo usare nei dettagli. Le figure richieste oggi devono sapere interagire con gli sviluppatori e con il team più verticale, ma anche saper parlare con il marketing, i direttori commerciali, le agenzie esterne; fare da traduttori tra il mondo digitale e gli altri dipartimenti, che in Italia sono ancora molto separati.
MP. La tecnologia è il fattore abilitante della trasformazione digitale, senza di essa nulla può succedere. Ma è anche vero che da sola non è più sufficiente. Tecla stessa è nata 20 anni fa come System Integrator, e continua a esserlo, ma il suo approccio è orientato al business consulting e ha integrato le competenze tecnologiche con competenze strategiche, di marketing e di design. Questo senza perdere di vista la nostra anima tech: siamo stati i primi ad aver sviluppato in Italia, insieme a IBM, un e-commerce, nel lontano 1999…
Qual è l’obiettivo dei brand di moda in relazione al mondo digitale?
FB. Fidelizzare il cliente. Lo faccio in negozio, ma grazie alle informazioni di base digitali. Lo shop assistant, come oggi si chiama il commesso, può servire meglio il cliente che è registrato sul sito, può consultare il suo profilo, vedere il suo storico di acquisti, la sua wish-list e così offrirgli già una preselezione e incontrare subito i suoi gusti.
Ci spieghi meglio?
FB. Una volta noi clienti eravamo abituati a essere conosciuti e consigliati dal nostro negoziante di fiducia. Poi è arrivato il mondo online che ha copiato quello fisico: grazie all’e-commerce, il brand sa che sono Fabrizio, cosa ho comprato e mi può dare delle raccomandazioni. Paradossalmente, invece, quando oggi torno nel negozio fisico dello stesso brand, il commesso non mi conosce più. “Ma come?” – mi chiedo – “sono sempre io, quello che online ha comprato quel prodotto e visualizzato quell’accessorio”. Grazie ai nuovi strumenti di store engagement che integrano i dati sui clienti, torno però oggi a essere conosciuto anche nel negozio in cui non sono mai fisicamente entrato. In questo modo la tecnologia facilita un ritorno al servizio personalizzato anche nel mondo fisico.
E sempre più spesso si ha la possibilità di scegliere e comprare online e ritirare in negozio, e viceversa.
FB. Si cerca di facilitare la vita al cliente, dandogli la possibilità di comprare dove vuole, ricevere il prodotto dove vuole, e nel minor tempo possibile. Siamo abituati con cellulare e tablet a trovare le informazioni subito. Considera che se l’attenzione di un pesce rosso è di 8 secondi, quella dell’uomo è di meno! E considera che i ricchi di domani oggi hanno 16-18 anni con trend di velocità molto alti.
Un sito anche fuori dalla moda che ritenete ha fatto, e stia facendo, un gran lavoro?
MP. Amazon. È sua l’esperienza di navigazione migliore. Considera che nel 2017 ci sono state più ricerche su Amazon come motore di ricerca che su Google. La gente lo critica per l’estetica, ma l’esperienza di navigazione e acquisto che offre è di sicuro ottimale.
FB. Se paragoniamo Amazon a un sito di un brand di moda o lusso, sembrano due cose molto diverse, ma in realtà hanno tecnologie e funzionalità molto simili, anche se è difficile arrivare al livello di Amazon. E’ quello che sta dettando la strada facendo un test fisico con il negozio Amazon Go che ha aperto esattamente un anno fa a Seattle.
Come la moda si distingue anche online?
MP. Il fashion retailer è quello anticipa tutti i trend di consumo, è per definizione il più veloce, con i clienti più esigenti che guidano il cambiamento. Il mondo fashion ha bisogno di altri codici e contenuti, che sappiano raccontare il prodotto. Sempre più spesso si abbina il racconto alla vendita. Una parola che va molto, se può piacere, è “story-selling”: dallo storytelling, il raccontare una storia, si passa “al vendere una storia”. E chi lo sta facendo molto bene sono per esempio Net-a-Porter e Mr Porter, che creano veri e propri servizi di moda e articoli legati ai prodotti.
Non si vende solo un prodotto, ma un’esperienza, un’emozione, un modo di essere…
E un caso nella moda a cui guardare?
FB. Yoox è una case study mondiale per l’order management in quanto si ricollega a diversi magazzini di brand differenti sparsi in tutto il mondo. È un fashion market place, un retailer, come Farfetch, Matchfashion.com e Mytheresa. La sua forza è poter garantire la gestione dell’ordine in maniera ottimizzata. Per esempio: un cliente a Hong Kong chiede quella maglietta di Gucci e Yoox in maniera automatica trova il modo di fargliela arrivare dal magazzino più vicino, che non per forza è quello che di Hong Kong, ma magari ci mette meno tempo da un’altra città.
MP. Questo processo si chiama Intelligence Sourcing e ci sono tecnologie che arrivano a considerare se ci sono dei temporali in zona: per evitare ritardi nella spedizione, si cambia la fonte del prodotto. A New York alcuni brand consegnano in 2 ore, con dei sistemi logistici particolari.
Chi vince online?
FB. Chi è in grado di rispettare le promesse che fa, altrimenti perdi il cliente. Amazon è molto affidabile, riesce a garantire la consegna entro un giorno, magari di prodotti da altri magazzini. Vuol dire che dietro ha una serie di tecnologie e integrazioni che fanno un lavoro che al cliente è invisibile: noi diciamo “seamless”, che letteralmente significa senza cuciture, e indica appunto la complessità di un sistema che però non si fa notare.
E nell’acquisto online quali sono gli altri fattori di successo?
MP. Descrivere il prodotto nel modo più esauriente possibile, con informazioni aggiornate e complete, immagini, video etc.
FB. Personalizzare, ma con discrezione. Il sito australiano Just Jeans cerca di replicare online la discrezione delle commesse in-store, che aspettano sempre prima di chiedere al cliente se ha bisogno, senza insistenza. Diverso da come succede in Italia. Just Jeans si comporta così anche online: non manda le raccomandazioni appena arrivi sul sito, ma aspetta che tu abbia visualizzato almeno 3/4 prodotti.
Digitale e fisico, il grande duello di cui da anni si parla.
MP. A dispetto della percezione che si ha, nel fashion e nel luxury le vendite e-commerce non arrivano al 10%. Se ne parla tanto perché è in crescita, si prevede che entro il 2025 arrivi al 20%, ed è una crescita enorme, ma l’esperienza in-store di poter toccare e provare un prodotto rimane insostituibile!
Il consumatore più giovane, cosiddetto Millennial, oggi vuole tutto subito e al minor prezzo: quindi è disposto a cambiare brand se ha un 30% di sconto in meno. Allo stesso tempo però è sempre più attento nel riconoscersi nei valori trasmessi da un marchio piuttosto che da un altro.
Il negozio fisico quindi, di cui da anni si preannuncia la fine?
MP. Muoiono i negozi che non sono disposti a cambiare. Anche il negozio di una piccola città alla fine può interagire in un nuovo modo, se vuole.
FB. A proposito, c’è una case history che, sebbene non sia un esempio fashion o luxury, dimostra esattamente questo. Si tratta di una farmacia in provincia di Ravenna: Boattini a Coccolia, un paesino di 500 persone in piena campagna. Il proprietario usa Facebook con un candore e una spontaneità unici, scrive dei post incredibili sui prodotti, dispensa consigli alle sue clienti, risponde su Messanger con rapidità.
È bravissimo, e la sua farmacia è presa d’assalto da gente che viene anche da 50 km di distanza. Coccolia ha 500 abitanti e lui 10.000 follower. Non è un nativo digitale, ma senza saperlo utilizza le migliori leve dei brand online: omnicanalità, servizio, tempestività, personalizzazione e storytelling.
Quindi, come dicevamo prima, mondo digitale e mondo reale si intrecciano e supportano a vicenda.
MP. L’integrazione è tutto, l’omnicanalità è il presente e il futuro. Il sito e-commerce è una sorta di piattaforma di servizio a uso degli store fisici dello stesso brand, e allo stesso tempo lo store fisico diventa a sua volta un hub anche di consegna e di interazione con il cliente che magari viene dal canale digitale. Sephora ha unito il reparto digital e quello retail: non sono più team di lavoro separati, non ha più senso. Prima o poi sparirà probabilmente anche l’etichetta digital davanti alle competenze del settore; non si parlerà più di digital marketing ma marketing e basta, non più di e-commerce manager ma di omni-channel manager. Il cliente non è di per sé omnichannel, non si pone neanche il problema, è il brand che deve stare al passo con il cliente, e, come dicevamo, lo può fare con la personalizzazione e il servizio. Sta diventando sempre più importante la fase di after-sale e customer care. Il rapporto umano non lo ricrei online, tutti gli sforzi dell’e-commerce sono tesi a ricreare online l’esperienza che puoi avere in store, ma in realtà l’e-commerce, soprattutto nel settore fashion, non ha “solo” l’obiettivo di vendita online ma anche di drive-to-store, cioè ti vuole portare nel negozio fisico dove puoi vivere e toccare con mano il prodotto.
Per finire, tornando a voi, il vostro background e percorso?
MP. Non ingegneria o informatica, ma marketing e comunicazione!
FB. Liceo linguistico e poi anch’io ho studiato marketing e comunicazione. E piano piano, per amore e necessità, mi sono trovato in questo mondo. Come dicevamo, sono necessarie figure ibride: spesso gli ingegneri sono troppo concentrati e il marketing non tocca abbastanza con le mani la tecnologia, quindi servono figure di collegamento sia a livello di azienda che di agenzia a supporto dell’azienda.