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Fashion Journal

Eco Fashion

Pillole di sostenibilità: Second Hand

Fino all’anno scorso, ai fini della raccolta differenziata, gli indumenti usati – cosiddetti Second Hand – potevano esclusivamente essere devoluti da parte dei cittadini ai cassonetti preposti. Il contenuto veniva poi raccolto e smistato da parte di associazioni di solidarietà, tendenzialmente ubicate nei Paesi a reddito procapite elevato (Stati Uniti, Canada ed Europa). Ma in Italia, a partire dal 1^ gennaio 2022, la situazione è cambiata. In anticipo rispetto alla deadline fissata dall’Unione Europea al 2025, il nostro Paese ha infatti stabilito che il sistema nazionale per la raccolta differenziata prendesse in gestione anche gli scarti della frazione tessile destinata al riciclo, secondo quanto previsto dalle direttive europee sulla responsabilità estesa del produttore (EPR).

La filiera dell’usato

Il primo anello della catena del Second Hand è la raccolta, a cui segue la vendita a imprese di igienizzazione, la classificazione e infine la commercializzazione dei capi che, solo in minima parte, sono oggi donati ad associazioni caritatevoli o venduti ai charity shop (es. Oxfam in Gran Bretagna). Successivamente le imprese che si sono occupate della “riabilitazione” del capo, lo rivendono al mercato locale dell’usato. Qui i materiali di prima scelta vengono selezionati e rilevati da commercianti oppure esportati per essere riutilizzati altrove. In questo caso, l’acquisto viene fatto da importatori grossisti nei Paesi in via di sviluppo, principalmente in Tunisia, che rivendono gli indumenti usati in balle ad ambulanti, grossisti o sartorie che li reinventano e li destinano ai mercati locali.

Seconda mano: difficoltà o nuova opportunità?

Negli Stati dell’East African Community, il mercato del second hand viene visto come un blocco allo sviluppo dell’industria tessile locale. Per questo sono state imposte delle tassazioni sull’importazione di merce di seconda mano. In altri contesti, nasconde invece un commercio fatto di abusivismo e criminalità organizzata. Certamente rimane un’opportunità di risparmio economico, di manodopera e di allungamento della vita dei prodotti del fast fashion e non solo. In Italia esiste un Consorzio nazionale abiti e accessori usati (Conau) i cui principali attori sono dislocati a Prato, Caserta e Bergamo. Inoltre, sul fronte solidale, risulta attiva la rete R.I.U.S.E. (raccolta indumento usati solidale ed etica) che riunisce svariate cooperative in tutta la penisola.


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