Pillole di sostenibilità: l’impronta idrica
L’impronta idrica, o water footprint, in ambito tessile indica il volume complessivo di risorse idriche usate dalla filiera per produrre i beni che commercializza. Comprende sia l’acqua prelevata in natura, si pensi ai processi per la lavorazione dalla materia prima al prodotto finito nell’industria, che quella delle precipitazioni impiegata nell’agricoltura per la coltivazione delle fibre naturali.
Se ci focalizziamo sul capo, l’impronta idrica rappresenta il volume totale di acqua usata nella sua produzione che per una t-shirt di cotone, secondo lo studio “Quant’acqua sfruttiamo” del SERI (Sustainable Europe Research Institute), è di 2700 litri, mentre quella per produrre un paio di jeans occorrono più di 8.000 litri di acqua.
L’industria tessile, dal punto di vista della sostenibilità è la quarta più impattante al mondo dopo alimentare, immobiliare e trasporti. Questo è quanto emerge dal report del 2017 dell’Agenzia Europea per l’ambiente EEA (European Environment Agency). In particolare, se ci soffermiamo sul consumo idrico, rimane ai primi posti: sempre secondo lo studio, la filiera tessile consuma ogni anno circa 104 metri cubi d’acqua a persona.
Dati alla mano
Una ricerca della Ellen MacArthur Foundation (Redesigning fashion’s future, 2017) afferma che l’industria tessile usa il 4% dell’acqua potabile globale solo per produrre i capi e che altri 20 miliardi di metri cubi di acqua all’anno sono usati per la cura post acquisto. Tra i sei e i nove trilioni di litri d’acqua all’anno vengono impiegati solamente per tingere.
L’aspetto più inquietante è che il 20% dell’inquinamento idrico è da attribuire ad attività legate al tessile come il lavaggio dei capi sintetici che rilasciano microfibre che finiscono nei fiumi e nei mari.
È interessante sottolineare come l’impronta idrica vari sia in funzione del tipo di prodotto, sia del luogo che dell’anno in cui è avviene la produzione di quel capo. Purtroppo, infatti, la maggior parte dei Paesi che producono i capi per il fast fashion si trovano nel terzo mondo dove l’attenzione alle tematiche della sostenibilità è ancora molto bassa e pertanto i consumi idrici sono più alti, il riciclo dell’acqua di risulta dei trattamenti non esiste o non è effettuato secondo gli standard. Lo stesso prodotto se fosse realizzato in Italia consumerebbe molta meno acqua, ma i costi di produzione sarebbero sicuramente diversi.
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