Berto, gli artigiani del blu
“Siamo gli artigiani del blu”, ci racconta Flavio Berto, esponente di quarta generazione dell’azienda di famiglia, Berto Industria Tessile, con sede a Bovolenta, nella Bassa padovana. Tutto in azienda ruota attorno a questo colore, a un solo colore: l’indaco, destinato alle varie categorie di prodotto nell’abbigliamento, dalla camiceria al pantalone classico. Ma quanti blu ci saranno mai al mondo? “Una sessantina di tonalità differenti, soltanto al nostro interno”, replica secco l’imprenditore, precisando che: “Non c’è una macchina al mondo che sia in grado di dare alla luce lo stesso colore di un’altra. La nostra capacità, come azienda, è quella di ottenere delle tonalità particolari e di riprodurle in maniera costante”. Oggi la Berto è un punto di riferimento per il tessuto made in Italy, ha un altissimo grado di specializzazione ed è un benchmark per tutti gli addetti ai lavori del mondo quando ci si misura con “il suo colore”. L’evoluzione aziendale, frutto di 130 anni di storia, appare cromaticamente coerente con il momento della nascita, perché tutto inizia dal mare…
Andiamo al 1887, anno di fondazione. Cosa succede a Bovolenta?
In realtà, i primi documenti recentemente emersi ci riportano addirittura al 1875 come punto di inizio, e poi chissà… Ad ogni modo, due fratelli, Giuseppe ed Egidio Berto, si dedicano alle vele delle imbarcazioni. Bovolenta dista 12 km da Chioggia e durante l’inverno i pescherecci risalivano il corso del fiume Bacchiglione per stare al riparo dalle mareggiate. Durante lo stazionamento, si effettuavano i lavori di manutenzione e qui entrano in campo i fratelli Berto, dapprima commercializzando i tessuti per le vele e poi, con l’acquisto dei primi telai, realizzandoli direttamente. Con gli anni l’azienda si sposterà verso i tessuti per la casa e dopo la seconda guerra mondiale inizierà a produrre quelli per abbigliamento, dal cotone Massaua per gli abiti da lavoro fino a sbarcare nel mondo del denim.
E oggi?
Ruotiamo attorno ai 19-20 milioni di ricavi, saliti a 23-24 milioni nell’ultimo anno anche a seguito dell’aumento dei costi delle materie prime. Diamo lavoro a 85 persone più una sessantina nell’indotto, producendo tessuti destinati totalmente all’abbigliamento. La metà del fatturato è generata dall’export, con Germania e Francia come primi mercati esteri. Siamo un’azienda atipica perché il 40% della nostra tintura indaco viene poi venduta a piccoli tessitori che si affidano al nostro know how. La tessitura interna è il nostro punto di forza, poi ci affidiamo a una rete di laboratori esterni che operano in esclusiva per Berto. Il finissaggio è quasi tutto interno e lavora anche per terzi.
È davvero così difficile realizzate un tessuto color indaco?
Per molti, anche tra i nostri interlocutori, è solo il colore di un paio di jeans. Invece è il frutto di un processo produttivo estremamente complesso: per tingere un metro di tessuto, dobbiamo usare come minimo 700 metri di filo. Il risultato finale dipende dal numero dei bagni effettuati, dalla velocità di passaggio del filo, dalle pressioni esercitate in fase di asciugatura. E il tempo necessario per la lavorazione è compreso tra 6 e 24 ore, a seconda del lotto specifico.
Come vi state muovendo in ambito sostenibilità?
La nostra filosofia, varata dieci anni fa, si basa sulle “cinque R”. Partiamo dal fatto che tutto viene prodotto in Italia, uno dei Paesi più costosi al mondo a livello industriale, e di conseguenza meno si consuma, meglio è: quindi, la prima R è il riutilizzo, partendo dal fattore più importante nel nostro settore che è rappresentato dall’acqua, riutilizzata per tre volte prima di essere avviata allo scarico. La seconda R è: ridurre tutto quello che si usa in termini di fattori produttivi, dal cotone alle ore di lavoro. La terza R è: riparare, così quando il risultato del processo produttivo non è in linea con le aspettative, interveniamo con vere e proprie riparazioni. Quando non riusciamo a sistemare gli errori, scatta la quarta R ovvero il riciclo. La quinta R è il rispetto, che per noi è la base relazionale verso le persone – lavoratori, clienti, fornitori – e verso l’ambiente che ci circonda. Ed è anche il motivo per cui utilizziamo fornitori esterni con i quali abbiamo instaurato relazioni ormai storiche, perchè la loro stessa vita è fondamentale per noi.
Aggiungiamo una R, quella della ricerca… come la gestite in azienda?
In due modi. Il primo è la parte ingegnerizzata di studio del prodotto che, attraverso il dialogo costante con i nostri clienti, ci ha permesso di uscire dal seminato per realizzare cose molto particolari, dalle montature per occhiali in denim – non un semplice rivestimento ma una vera e propria struttura – fino ai tessuti per le tute da motociclista con caratteristiche di resistenza molto elevate, simili a quelle della pelle conciata. E poi abbiamo unito il denim alla seta per realizzare dei tessuti misti cotone/seta, senza dimenticare il denim realizzato con filati di recupero. Il secondo modo è la parte più strettamente tecnica, frutto di una collaborazione con i produttori di macchine tessili innovative e testate all’interno della nostra filiera. Tra queste, spiccano la messa a punto di impianti di lavaggio del tessuto in ozono, con conseguente risparmio idrico fino al 90%, e di tinture speciali con l’azoto che ci permettono di ridurre il numero di passaggi in lavorazione e il numero di prodotti utilizzati. Tutto questo senza rinunciare al nostro sogno: ottenere il tessuto più bello al mondo.
Quanto conta l’archivio per la vostra azienda?
Conta tantissimo. Sono convinto che non esista l’innovazione in assoluto, perché ogni novità è il frutto del miglioramento di qualcosa che è stato fatto in passato. Di conseguenza, l’archivio è un punto di partenza per arrivare a migliorare quel che abbiamo ereditato. Ogni spunto parte dal nostro archivio, composto da 7-8 mila articoli realizzati negli ultimi cinquant’anni: di questi, i tessuti blu nelle loro varianti rappresentano un buon 80% del totale. Un patrimonio che mettiamo a disposizione di clienti, fashion designer e di giovani talenti della moda, che sosteniamo attraverso il progetto #Berto4YoungTalents
Cosa ha spinto Berto a sostenere il workshop di upcycling che si terrà il 23 e 24 giugno in Fondazione Fashion Research Italy?
La vera forza dell’Italia è nella creatività. Di conseguenza, compatibilmente con le nostre possibilità, vogliamo supportare ogni attività fondata sulla volontà di rivisitare il modello creativo italiano della moda e dell’abbigliamento, soprattutto se sono attività che coinvolgono i giovani, dai quali dipende il futuro. Sono i giovani che ci danno le idee per affrontare il mondo che verrà, il loro mondo. Per noi, dunque, non si tratta soltanto di un sostegno: è un vero e proprio investimento.
Come sarà la Berto del futuro?
Crediamo nella customizzazione, nella bellezza di progetti esclusivi creati con le nostre mani, con il nostro pensiero, con i nostri clienti. Questo processo comporta certamente un ridimensionamento produttivo, che già è avvenuto per Berto, coerentemente con il fatto che in Italia non si possono più gestire grandi volumi perché non siamo competitivi con quei Paesi del mondo che dispongono di costi nettamente inferiori. Ma alle industrie di quegli stessi Paesi mancano il nostro livello di servizio, la nostra velocità, le nostre competenze nel realizzare progetti mirati. E noi stiamo lavorando in questa precisa direzione, con prodotti sostenibili e con processi certificati, per servire quella fascia di clientela che si vuole distinguere in chiave di unicità.
Berto sarà sponsor tecnico della seconda edizione del workshop di upcycling che si terrà il 23 e 24 giugno in F.FRI. Partecipa per utilizzare i tessuti denim di alta qualità messi a disposizione dal brand per dare nuova vita ad un tuo capo.