Fashion Journal

MODA SOSTENIBILE

Buy less, Choose well, Make it Last! Il motto di Vivienne Westwood per la sostenibilità

Vivienne Westwood è una icona culturale ma anche una storia di successo che dura da cinquant’anni, nella quale la capacità di intercettare e anticipare i grandi temi sociali dell’umanità si è sempre felicemente coniugata con una esplosione creativa che ha resistito alle mode ed al tempo.

Isabella Tonelli e Giorgio Ravasio, Supply Chain Sustainability Manager e Country Manager di Vivienne Westwood Italia, ci illustrano le attività in tema sostenibilità intraprese dalla società fondata dalla più famosa ed irriverente fashion designer inglese insieme al visionario manager milanese Carlo D’Amario.

Siamo sommersi dagli slogan dei numerosi brand che usano la parola sostenibilità in modo errato; cosa rappresenta per Vivienne Westwood?

GIORGIO RAVASIO: Parlare di sostenibilità, fuori da slogan banali, è estremamente complesso. È sicuramente opportuno raccontare al pubblico i risultati che faticosamente si possono ottenere con una nuova metodologia operativa e una zelante ricerca di processi e di materiali innovativi, ma è di fondamentale importanza evidenziare anche che la costruzione di una moda a misura di futuro costa molta, moltissima fatica, soprattutto per il paradigma della temporaneità stagionale che è alla base della nostra industria. Sarebbe certamente una rivoluzione copernicana far comprendere a tutti gli esseri umani cosa significa acquistare un capo di abbigliamento senza amarlo davvero. Ma d’altra parte “La moda è un pretesto per fare dell’altro” come ripete sempre il nostro Presidente Carlo D’Amario quando accoglie le nuove leve che inseriamo in azienda.

Per Vivienne Westwood, il tessuto è la tela sulla quale disegnare i suoi slogan, il palcoscenico sul quale portare alla ribalta un pensiero, lo strumento di comunicazione più immediato con il quale raggiungere il pubblico e avvertirlo che il pianeta è in pericolo, che è in atto un’ingiustizia e che la cultura è indispensabile. Del resto, essere un’impresa responsabile significa avere piena consapevolezza dei danni che si possono fare ma anche dell’impatto positivo che si può avere sulla comunità con cui si è in grado di relazionarsi. Ai nostri consumatori crediamo sia importante veicolare il messaggio che è inutile cercare di esprimere la propria identità culturale attraverso il frenetico e compulsivo acquisto di abiti, ma che basta comprare meno e scegliere meglio.

Buy less, Choose well, make il last.

Il primo messaggio lanciato da Vivienne Westwood, ormai molti anni fa, suonava come un pezzo punk d’avanguardia “fattelo da solo, non hai bisogno di noi per farti un abito, modificarlo o aggiustarlo”. Questo motto incarna, anche se in modo radicale, la filosofia aziendale che ci ha portato da un punto di vista pratico a superare il concetto di stagionalità, a ridurre le collezioni, a diminuire il numero di prodotti sviluppati, a chiudere alcuni punti vendita e ad accorciare la nostra filiera produttiva portandola quasi tutta sotto il nostro diretto controllo. Si tratta di un processo senza soluzione di continuità il cui risultato si traduce in meno consumi e meno sprechi, per un’economia esemplare a servizio della creatività.

Nel vostro riassetto est-etico avete curato moltissimo anche la supply chain. Perché?

ISABELLA TONELLI: A seguito dell’abbandono delle Licenze ed al passaggio alla produzione diretta avvenuto negli ultimi anni, Vivienne Westwood Srl ha gradualmente potuto accrescere il controllo decisionale su scelte che prima erano spesso demandate ai licenziatari conseguendo vantaggi sia dal punto di vista qualitativo che sociale.
Essere responsabili dal punto di vista sociale significa essere consapevoli di cosa accade nelle filiere ed essere categorici nel pretendere il rispetto dei diritti e l’allineamento con i valori del nostro Brand. La visibilità, il controllo e la due diligence permettono di prevenire e contrastare comportamenti non adeguati, anche nei cosiddetti “tier più bassi” di fornitura. Tuttavia, la frammentazione e la fluidità delle supply chain di questo settore rendono sicuramente più complesso il controllo capillare e simultaneo di tutti i livelli produttivi. Bisogna per questo andare oltre la mera firma dei Codici di Condotta Lavorativa, verso la creazione di relazioni virtuose e durature con la rete dei fornitori, basate sul rispetto reciproco, sulla comunicazione e sulla trasparenza.

GIORGIO RAVASIO: La gestione diretta di tutta la catena produttiva ci ha inoltre resi più liberi di incrementare la qualità dei nostri prodotti, di garantire l’utilizzo sempre più consapevole delle materie prime e di ottimizzare le logiche produttive e distributive. Anche se il cammino da fare resta ancora molto, siamo sulla buona strada per applicare a pieno gli ideali su cui si fonda l’azienda a tutte le nostre attività pratiche quotidiane, in modo da creare una cultura basata sull’efficienza e sull’etica.

Reduce, re-use, re-think; come deve modificarsi, a suo avviso, l’attitudine dei consumatori?

GIORGIO RAVASIO: Il filosofo coreano Byung-Chul Han ha scritto che consumo e durata si escludono reciprocamente. Il nostro sistema industriale ha infatti sempre avuto ritmi veloci e ripetitivi ma sono proprio l’incostanza e la fugacità della moda a velocizzarne il consumo e a creare il danno più ingente. Anche carattere e consumo sono antitetici: il consumatore ideale è un essere umano senza carattere, ed è proprio questa assenza che rende possibile un consumo acritico e indiscriminato. Si tratta di un approccio completamente antagonista rispetto al tema della sostenibilità ed è per questo che l’attivista per la sostenibilità dovrebbe armarsi di studio e cultura per poter fare un’analisi critica della realtà in cui vive; la conoscenza non può che guidarci verso la qualità del prodotto e la sua connaturata durata e resistenza alle tendenze del momento.

D’altra parte, bisogna però anche aggiungere che è umano avere bisogno di ciò di cui non serve, proprio come pensare di sapere ciò che non si conosce e desiderare ciò che non si vuole. Ma sfruttando l’essenza della moda come “partecipazione collettiva a un rito” si potrebbe perorare la causa del fare meglio per il pianeta trasformandola in un marketing driver. I prodotti realizzati con la piena metodologia tracciabile e sostenibile, ad esempio, dovrebbero diventare i nuovi Clothes for heroes, a simboleggiare la determinazione a difendere l’umanità da parte di chi li acquista e indossa; militanti, e non più soltanto clienti, che avrebbero la necessità di una maggiore consapevolezza riguardo al valore etico dei prodotti che intendono far aderire non solo alla propria pelle, ma anche alla propria identità.

E per coloro che vogliono rendere questa militanza un lavoro, per la tua esperienza di Supply Chain Sustainability Manager, quali competenze suggeriresti di acquisire?

ISABELLA TONELLI: Io sono entrata in Vivienne Westwood Italia nel 2015, quando il processo di cambiamento verso la produzione diretta si stava consolidando e si rendevano necessari dipartimenti più tecnici per poter gestire tutto il processo di sviluppo e produzione, oltre ad un presidio nel campo della responsabilità sociale d’impresa che trasmettesse le buone pratiche a tutti i dipartimenti. L’esperienza sul campo e nelle filiere ha sicuramente ricoperto un’importanza strategica e fondamentale per il mio background manageriale.
Lo scorso anno ho avuto l’opportunità di guidare l’azienda nell’ambito del progetto delle United Nation Economic Commission for Europe– UNECE “Enhancing traceability and transparency of sustainable value chains in the garment and footwear sector” che ha posto l’attenzione su quanto il coinvolgimento di tutti gli stakeholder sia necessario per raggiungere obiettivi di tracciabilità e trasparenza. Credo quindi che il reporting nei prossimi anni acquisirà sempre più rilevanza e potrà fornire un supporto concreto per una comunicazione più quantitativa e precisa. In futuro saranno quindi ricercate figure che sappiano supportare nelle misurazioni, nei risk assessment e nelle rendicontazioni dei temi materiali.


Valeria Battel
Giornalista per numerose riviste italiane ed internazionali è docente di Storia del Costume e della Moda presso NABA.

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