Dalla moda nel cinema al cinema nella moda: storia di un amore
Trasandata commessa di libreria in bilico tra studi di filosofia e una carriera da modella che, grazie agli insegnamenti del suo fotografo-pigmalione, ispirato dalla figura di Richard Avedon e interpretato da Fred Astaire, diventerà una sofisticata mannequin in abiti Hubert de Givenchy. Parliamo naturalmente di Funny Face (Cenerentola a Parigi, 1956) dove una smagliante Audrey Hepburn consolidava il suo rapporto con il couturier francese che aveva conosciuto al tempo di Sabrina (1954): da quel momento avrebbe vestito solo Givenchy dentro e fuori dai set.
La moda faceva nel cinema un salto. E senza ritorno.
I COSTUMISTI VESTONO LE DIVE
La moda entra così in uno spazio volubile, perennemente in movimento dove i costumisti vestono le dive secondo logiche molto diverse da quelle degli stilisti. È risaputo ad esempio che Monsieur Dior tenne segreti fino all’ultimo i bozzetti per Marlene Dietrich nel film di Hitchcock Paura in palcoscenico (1950), volendo evitare i confronti con il suo costumista di fiducia, Travis Banton, che l’aveva resa famosa in tutto il mondo con i suoi look androgini. I francesi stavano però conquistando Hollywood, non senza fiaschi clamorosi. Inseguendo il proprio stile, Coco Chanel pretendeva che Gloria Swanson perdesse almeno una taglia, cosa che la diva si rifiutò di fare (complice una gravidanza), vedendosi rimpiazzare i costumi all’ultimo minuto. Lo stile di Coco non era per giunta glamour, ed anzi piuttosto austero e per nulla hollywoodiano, tanto che la casa di produzione preferì tornare a costumisti come Banton e Adrian che avevano nei decenni precedenti contribuito a render immortali tra le altre la Dietrich e Greta Garbo. Chanel imparò la lezione? Forse, ma da allora stette lontana dal cinema, e dalle dive capricciose.
Ogni campo ha un suo codice e va rispettato e il cinema hollywoodiano negli anni cinquanta aveva un’estetica e tempistiche molto diverse da quelle degli stilisti.
Ma era solo questione di tempo.
LA MODA FA CINEMA
Prima la moda entra nel plot dei film (il recente Il Diavolo veste Prada, è solo l’ultimo di una serie di cui Funny Face è una delle prime pietre miliari) e poi, come un esercito, gli stilisti invadono lo schermo: Armani, Brioni, Cerruti, Chanel, Fendi, Ferragamo, Gaultier, Gucci, Krizia, Prada, Valentino, Versace e molti ancora. Per alcuni è un vero sodalizio, un vero e proprio amore, come testimoni l’attuale mostra Fendi Studios (Roma) in cui si racconta la passione della maison per il cinema, una carrellata di haute fourrure da far sognare ad occhi aperti.
Ma la moda è andata oltre. Non si limita a fornire alcuni abiti o a disegnare gli interi costumi e a riportarne la propria estetica visiva. Chi non si ricorda il lavoro fatto da Miuccia Prada per Il Grande Gatsby? Un film che rimane non tanto per le interpretazioni quanto per la fusione perfetta tra il linguaggio visionario e ricco del regista, Baz Luhrmann, con quello di Prada, sofisticato ed intellettuale nell’interpretare il gusto déco dell’epoca n cui è ambientato il film.
Oggi la moda, apprese le regole del gioco, fa cinema anche meglio del cinema.
Utilizza attori e registi per corti in cui si condensa la forza del marchio, con una capacità evocativa che li renda virali, com’è il caso del bellissimo ed ironico A teraphy (2012) di Prada con una stralunata Helena Bonham Carter e un enigmatico Ben Kingsley, per la regia nientemeno che di Roman Polanski. Durante una seduta dallo psicanalista, questi è attirato dalla pelliccia della sua ricca e viziata paziente e, in un crescendo d’atmosfera feticista (di cui Polanski è maestro), il medico-Kingsley arriva ad indossarla e a sentirne il profumo, mentre la paziente ad occhi chiusi e sdraiata sul lettino continua il suo noioso sproloquio. La conclusione in bella scritta che “Prada suits everyone” chiude con ironia il corto.
Il film-campaign per la Fall-Winter 2017 di Gucci è invece un vero inno, voluto dal direttore creativo Alessandro Michele, ai fantasy e agli horror degli anni cinquanta e sessanta, oltre che a Star Trek. Un rocambolesco cortometraggio di un minuto circa in cui c’è spazio per tutto: astronavi, gatti giganti, cervelli che camminano, dinosauri, alieni, fino alla conclusione con la scena cult del mostro del lago che raggiunge la riva tenendo tra le braccia la sfortunata vittima, però di Gucci vestita. Un’ironia senza freni, un ritmo incalzante che porta la firma del regista Gled Luchford, un mix potente che fa sognare e diverte.
Un citazionismo continuo che mette alla prova la cultura dello spettatore in un processo senza soluzione di continuità e in una sindrome da horror del netto, del terso, del nudo, per giungere a un effetto straniante e geniale che parte “dal basso” dei movie di serie zeta resi, senza mezzi termini, di moda.
È poi recente l’affermazione del regista Baz Luhrmann: “per me la moda è sempre stata qualcosa che va oltre l’abbigliamento”, all’indomani del corto da lui firmato per il lancio della capsule per la catena H&M del giovane e talentuoso stilista Erdem .
Una fusione perfetta di linguaggi, a conferma di come oggi sia la moda ad appropriarsi del cinema, dimostrando di aver imparato e in parte riscritto, grazie ai nuovi media, le regole della “settima arte” che dovevano sembrare invece ostiche a Chanel.
Cosa è cambiato nel rapporto fra moda e cinema dagli anni Cinquanta ad oggi?
Tutto, ma l’amore è cresciuto.
Prada (2012) – “A therapy”
Gucci (2017) – “Director’s Cut” F/W 2017 Campaign: Gucci and Beyond
ERDEM x H&M (2017) – “The Secret Life of Flowers” campaign film