L’eredità di Emilio Pucci tra archivio storico e futuro (non solo digitale)
A pochi mesi dal lancio del tour virtuale dell’Emilio Pucci Heritage Hub, Laudomia Pucci parla di questa esperienza, ideata insieme all’Archive Manager Dylan Colussi e alcuni giovani talenti di moda e design, per valorizzare l’eredità del brand attraverso le nuove tecnologie.
Un palcoscenico di prim’ordine che, in un mix di virtuale e sensoriale, racconta i progetti e la creatività del suo fondatore, facendone rivivere ad ogni visita il fascino dello stile senza tempo.
Palazzo Pucci è molto più di un museo: a volte viene definito come un esempio di storia della moda e dell’arte. Cosa rappresenta per lei?
Ho avuto il privilegio di vivere e lavorare per gran parte della mia vita in queste sale e ho potuto constatare come ogni generazione della mia famiglia abbia dato un contributo all’evoluzione degli spazi, al suo arricchimento e alla sua modernizzazione. Negli anni abbiamo ripristinato delle sale che erano state suddivise e restaurato affreschi, mentre adesso stiamo ripulendo la galleria dei quadri e rinfrescato i tessuti storici: è straordinario lavorare con restauratori e artigiani locali. Inoltre, l’illuminazione moderna mette in risalto i colori del marchio e si sposa in maniera inusuale, ma a mio avviso perfetta, con essi, creando un unicum dove moda e storia vanno di pari passo.
Quando l’Emilio Pucci HQ, nel 2017, si è trasferito a Milano ho pensato quindi di creare una realtà che esprimesse dei valori contemporanei e che fosse anche uno spazio da vivere e far vivere.
Per questo motivo è nata l’idea del Virtual tour?
L’idea del tour virtuale mi è venuta in mente quando ci siamo trovati bloccati con il primo lockdown dovuto alla pandemia: ero estremamente amareggiata dal fatto che tanti progetti che stavamo mettendo in cantiere e sui quali avevamo lavorato tanto non si sarebbero più realizzati.
Poi ho notato che il mondo delle aste e dell’arte stava già anticipando la possibilità di partecipare da remoto e anche la scuola di design Svizzera Ecal aveva fatto una presentazione virtuale a fine anno; ho trovato quindi molto interessante l’idea di adattare questo format al nostro progetto Heritage.
Volevo, inoltre, aggiungere al tour racconti e figure professionali che dessero una certa personalità alla visita per raggiungere fan del marchio e del vintage, studenti e fashion communities in genere, ma anche una generazione di giovani che, forse, conoscono poco la storia del brand, ma che amano molto il concetto di Heritage e di storytelling declinato in maniera tecnologicamente innovativa, che mixa la storia della città, della moda e della mia famiglia.
La digitalizzazione dell’archivio: uno strumento o l’inizio di un nuovo percorso?
Credo che oggi non possiamo limitarci ad un’archiviazione digitale fine a se stessa, che non preveda ulteriori sviluppi. È vero anche che la digitalizzazione fatta negli anni passati è spesso di qualità inferiore di ciò che oggi si riesce ad implementare grazie alle ultime tecnologie, ma ritengo che presto assisteremo ad un grande balzo in avanti e a novità che porteranno sicuramente interessantissimi risvolti. Di recente, ad esempio, guardando la presentazione del Mausoleo di Augusto – digitalmente riprodotto nelle sue varie vite – mi sono venute in mente numerose possibilità per il mondo della cultura e dell’arte italiana.
Riguardo al suo rapporto con l’Heritage, come interpreta le attività di un archivio storico?
Ci sono tanti modi per interpretare un archivio storico; io preferisco chiamarlo Heritage, perché lo rende più vivo e più attuale. Credo che il fatto che l’Emilio Pucci Heritage Hub viva all’interno di un Palazzo Rinascimentale di famiglia costituisca di per sé uno spunto per esposizioni e pubblicazioni e mi piacerebbe poter continuare a formare i giovani sulla meraviglia di un marchio, che è stato uno dei precursori del Made in Italy e della moda italiana.
Ci parla del suo legame con i giovani studenti di moda e dell’intenzione di trasmettere il patrimonio di Pucci alle nuove generazioni?
Ho iniziato circa 10 anni fa a collaborare con giovani e scuole di varie nazionalità, sia perché la storia del Brand è sempre stata molto legata ad ambiti internazionali, sia perché ritengo che il patrimonio di Pucci si potesse comunicare meglio entrando direttamente in contatto con l’archivio, cimentandosi a raccontarlo e dandone delle interpretazioni con progetti, pubblicazioni e idee di vario genere. E questo ci ha permesso di lavorare con Polimoda, Ecal, Central St Martins Stanford e oggi Fashion Research Italy.
Abbiamo quindi creato un Talent Center e un Piccolo Museo a Granaiolo, nella proprietà di famiglia vicino a Castelfiorentino, dove abbiamo ospitato studenti che hanno creato skate boards, prima che diventassero un fashion statement, un foulard interattivo, delle bottiglie 24 Bottles e tanti altri progetti, tra cui anche del machine learning con le iconiche grafiche di Pucci.
Tra gli eventi più spettacolari bisogna sicuramente citare “Bonaveri – a fan of Pucci”, una presentazione in cui i manichini di Bonaveri diventano gli attori che indossano le nostre creazioni storiche e raccontano in modo artistico e divertente la storia dei due marchi. Oppure “Unexpected Pucci”, che è una raccolta editoriale delle tante collaborazioni e dei tanti prodotti realizzati negli anni che vanno oltre la moda nel senso stretto del termine.
Quali sono le peculiarità che nei decenni hanno rappresentato la contemporaneità dello stile di suo padre e di un brand che, da antesignano del Made in Italy, è tuttora protagonista del fashion system?
Credo che il dopoguerra italiano sia stato un momento di rinascita straordinaria del Paese per vari motivi, ma anche perché alcuni uomini e donne hanno saputo interpretare con visione straordinaria la cultura e la tradizione italiana. Ritengo che mio padre fosse tra questi: ha capito in un momento in cui la moda era solo parigina che il lifestyle, il resort e lo sport sarebbero stati un must del mondo a venire. La sua prima etichetta Emilio Sportswear ne è la ovvia riprova: con i suoi tessuti stretch e leggeri anticipava il jet set, con i suoi colori ha raccontato la dolce vita e le bellezze dell’Italia, e introdotto le tematiche della mobilità e dei viaggi che noi oggi tutti conosciamo. Ma è sempre stato anche estremamente attento all’internazionalità e all’inclusività, visto è stato il primo designer a sfilare nel 1964 con modelle di colore a Palazzo Pitti.
Per non parlare poi di sostenibilità: tutto veniva prodotto in atelier, a Palazzo o nei laboratori artigianali circostanti, dove si creavano abiti e costumi da bagno partendo da foulard, per evitare ogni spreco. Si tratta di elementi e intuizioni che all’epoca sorprendevano, anche se oggi fanno parte della nostra vita quotidiana.