Fashion heritage, vintage e resale. Le nuove parole d’ordine dell’economia circolare nella moda
“Il motivo più recondito del collezionista può essere forse così circoscritto: egli intraprende una lotta contro la dispersione. Il grande collezionista è originariamente toccato dalla confusione, dalla frammentarietà in cui versano le cose in questo mondo”.
Così il filosofo Walter Benjamin descrive i tratti tipici del collezionista e a ben vedere, riportando l’esempio al mondo moda, pur potendo definire un collezionista di abiti o un semplice appassionato come un “accumulatore raffinato”, si può certamente definire il suo attaccamento alla moda come un tentativo di fare ordine. Forse non nel suo armadio, ma certamente nel suo modo di vedere in ogni abito o accessorio un po’ del fluire della cultura visiva e imprenditoriale di questa epoca.
Collezionisti di moda: la ricerca del pezzo destinato a fare la storia
Sono molte le vie per diventare collezionisti di moda, ma quasi tutte passano attraverso una forte passione personale e un’infanzia intrisa di gusto e bellezza, come nel caso di Monika Gottlieb. La collezionista tedesca che presta i pezzi più pregiati del suo armadio a musei di caratura internazionale, infatti, ha raccontato in una recente intervista che «mentre le altre bambine giocavano con le bambole, io accompagnavo mia madre per le case di moda di tutto il mondo osservando bellissima gioielleria, borse e stole». Oggi vanta una collezione di migliaia di pezzi tra cui spiccano moltissimi pezzi di Hermès, Oscar De La Renta e Alexander McQueen, insieme a rarità del secolo scorso firmate da Mary McFadden, solo per fare un esempio.
Ma non occorre andare lontano per trovare una collezione con una consistenza e un allure simile: basti pensare alla collezionista bolognese di origini toscane Cecilia Matteucci Lavarini, che deve la sua camaleontica raccolta di abiti ad una frequentazione assidua del fashion system, ma certamente anche delle case d’asta più importanti, da Kerry Taylor a Christie’s o ancora Sotheby’s, nonché alla fitta rete dei più esclusivi negozi di second hand espressamente votati all’haute couture.
Vintage e second-hand. Quel “historic smell” che fa volare le quotazioni
Tra questi, la boutique di un collezionista davvero particolare, probabilmente tra i più noti e appassionati del settore: il francese Didier Ludot, che nel negozio parigino di Galerie Montpensier sceglie di mettere a disposizione del pubblico un fiuto da vero antiquario della moda, che gli ha permesso di mettere le mani su pezzi storici di nomi leggendari come Madame Grès, Balmain, Balenciaga, Azzedine Alaia, Comme des Garçons, Chanel, Dior, Yves Saint Laurent e Schiaparelli e, sempre più spesso, di venderli all’asta per cifre da capogiro.
Il mercato del vintage appare dunque in fermento e non solo in termini di vendite in favore di raffinati collezionisti: almeno in termini di popolarità, l’aspetto inedito è la diffusione capillare di App e circuiti digitali di resale che hanno il merito di riuscire a coinvolgere un pubblico sempre più ampio, attirando al contempo anche l’attenzione dei grandi brand di moda. Da un lato perché anche le loro dinamiche di affermazione sono sempre più spesso legate alla valorizzazione dell’heritage e quindi anche al recupero sul mercato di pezzi iconici, magari non più in loro possesso; dall’altro perché anche i colossi del fashion hanno iniziato a mettersi in ascolto delle richieste dei consumatori, registrando una crescente sensibilità sui temi legati al green e all’usato. Basti pensare alla recente acquisizione da parte del gruppo Kering della piattaforma francese di second hand del lusso Vestiaire collective.
Resale e sostenibilità, i viatici per un mondo più green
In effetti la correlazione tra piattaforme di resale e sostenibilità può di primo acchito apparire oscura. L’analisi dello stato dell’arte del settore dimostra invece che trasformare radicalmente il proprio business o stile di vita per ambire ad un impatto ambientale vicino allo zero è ancora pura utopia: molto più concretamente, i consumatori più sensibili cominciano a capire che ridurre la frequenza di acquisto, magari restringendolo a capi e accessori di qualità (destinati dunque a durare più a lungo) o rivolgendosi al mercato del second-hand, rappresenta il modo più sicuro per contribuire a ridurre gli sprechi.
In questo senso, le istanze più urgenti legate alla sostenibilità e questi nuovi orientamenti di acquisto si attestano sempre di più come fattori comuni di un modello che potrebbe diventare addirittura dominante: basti pensare che secondo il Circular Fashion Report 2020 il mercato della moda circolare ha un valore potenziale di 5 mila miliardi di dollari, quindi ben il 63% in più dell’industria della moda convenzionale.
Collezionare la moda, frequentare il second hand fisico e digitale e sposare un approccio all’acquisto più coscienzioso si presentano come aspetti già assodati di un nuovo modo di fare e sostenere il comparto moda. Per conoscere questi argomenti dal punto di vista di professionisti e esperti del settore, non perdere il corso Archivi della Moda. Collezioni private e archivi vintage che si terrà in streaming dal 23 al 25 giugno. Un’edizione esclusiva per il 2021 davvero da non perdere!