Il collezionismo tessile: a tu per tu con Francina Chiara, storica del tessuto
In un Paese come il nostro, dalla storia creativa e industriale così radicata, la cultura tessile si è configurata nel tempo come una disciplina a sé, ricca di storia e riferimenti illustri, soprattutto legati alle vicende di grandi stilisti che hanno saputo, con i loro abiti, raccontare la sartorialità e lo stile italiano nel mondo. La forza del nostro territorio, però, è riposta nella sapienza artigiana con cui, ancora oggi, si producono lane e filati pregiati, tinture e trattamenti all’avanguardia, tessuti e professionalità che è giusto salvaguardare e valorizzare.
Per farlo, si stanno moltiplicando eventi espositivi che diventa sempre più urgente legare ad un progetto conservativo condiviso. Ne parliamo con Francina Chiara, già Curatrice dell’Archivio e Museo Fondazione Antonio Ratti di Como e Professore a contratto di Storia della moda e del costume, Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.
Nel corso della sua lunga esperienza quale storica del tessuto e della collaborazione con la Fondazione Antonio Ratti, ha pubblicato numerosi saggi sulla storia del distretto serico comasco, ma anche sui paramenti liturgici e più in generale sulla storia del collezionismo tessile. Accanto a queste attività spicca senz’altro quella curatoriale, perché dimostra come gli archivi possano essere fonte inesauribile di conoscenza e diffusione della cultura di un territorio.
Si può dire che in italia ci sia in generale una cultura della conservazione nel settore del tessile?
In Italia la tradizione tessile è di grande importanza e, dalla mia esperienza a contatto con svariati operatori, ritengo che ci sia parecchia attenzione ai materiali accumulati nel tempo, anche perché essi sono strategici sotto molto punti di vista: rappresentano una storia che è bella da raccontare e costituiscono la fonte di una creatività riconosciuta a livello internazionale. Questa sensibilità costituisce una buona base per la diffusione di una cultura della conservazione, che significa acquisire strumenti specifici per la gestione di risorse di grande valore. Anche se su questo piano c’è ancora da lavorare per raggiungere una piena consapevolezza della specificità delle competenze da impiegare.
Tornando alle mostre, sembra che di recente le strategie e gli sforzi economici applicati agli archivi si siano sbilanciati in favore della valorizzazione. Quali sono le condizioni perché quest’ultima si possa mettere in campo?
Da ormai diversi anni chi opera in ambito culturale viene sollecitato a proporre iniziative di valorizzazione che, nella teoria della gestione museale, costituiscono l’ultimo anello della catena di funzioni virtuose che ruotano intorno agli archivi, poiché prevedono preliminarmente la cura e lo studio dei materiali. Il valore nasce dal maneggiare e studiare i materiali, che raramente “parlano” da soli; se si omettono queste fasi, il dialogo con chi guarda può risultare di superficie e la cultura è, dal mio punto di vista, approfondimento.
Sulla scorta della sua esperienza di curatrice di mostre che sono nate e si sono alimentate attraverso il patrimonio conservato negli archivi, qual è secondo lei il modo migliore di raccontare un archivio d’impresa?
Le strade possono essere svariate, dalla catalogazione digitale alle mostre, non necessariamente in opposizione tra loro ma complementari; tra l’altro non dobbiamo dimenticare che una mostra, di necessità, presenta soltanto un numero finito di materiali, selezionato dal curatore, mentre la catalogazione digitale permette la consultazione di un numero maggiore di item e la possibilità di ritagliarsi lo spazio per seguire percorsi di interesse soggettivo.
Entrambe, catalogazione e mostre, possono essere strumenti validi per raccontare in maniera comprensibile – amo dire con semplicità, ma non semplicisticamente – la relazione tra i diversi materiali, che scaturisce, a sua volta, dalla complessità dei processi che presiede alla realizzazione di un prodotto.
Gli archivi rappresentano la testimonianza dell’impegno di molte persone, del lavoro di team e organizzato volto all’ottenimento di un bene che, nel caso dei tessuti e della moda, si impone ai nostri occhi. Diverse volte mi è capitato di sentir dire dai fruitori di cataloghi e mostre: “Non sapevo ci fossero così tanti passaggi e competenze per giungere a un risultato finale di pregio”. É questo un modo per comprendere le differenze tra un prodotto di scarso valore e uno di pregio e di generare rispetto nei confronti degli archivi: coloro che se ne dovranno occupare si sentiranno meno soli nell’esercizio, non sempre facile, di tutela e valorizzazione.
Proprio nell’ottica di promuovere e diffondere la cultura degli archivi, la prossima edizione Fall-Winter 2018 del corso “Archivi della Moda: Heritage Management”, che si terrà nella sede bolognese della Fondazione Fashion Research Italy dal 12 al 23 novembre 2018, dedicherà un focus agli aspetti espositivi degli archivi di moda e una riflessione più approfondita sulle esigenze della schedatura tessile.
In copertina: Applicazione di un particolare tipo di velcro a uno scialle cachemire della FAR da parte di una restauratrice dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro – Photo courtesy Francina Chiara, thanks to Fondazione Antonio Ratti.