Fashion Journal

Architettura per la Moda

Gli obiettivi del fashion retail design. La parola a Duccio Grassi.

Duccio Grassi Architects, con sede a Reggio Emilia, è uno studio di architettura, design e interior che firma progetti retail, ospitalità e abitazioni private sia in Italia che all’estero, da Milano a Dubai, Roma, Porto Cervo e Pechino. Nel mondo della moda, ha consolidato una sinergia più che trentennale con il gruppo Max Mara, progettando i flagship stores di Londra, New York, Firenze e Tokyo. Tra gli altri progetti retail, le collaborazioni con Canali, Zara, Ray-Ban e Guess by Marciano.

Duccio Grassi, laurea in Ingegneria Civile, è il fondatore. L’abbiamo incontrato a Bologna, nella sede di Fashion Research Italy, in occasione di una sua Guest Lecture al corso di Architettura per la moda. Qui ci racconta il suo punto di vista su moda e retail e la sua esperienza nel settore.

Che cosa vuol dire progettare un negozio per un brand del mondo moda?

Gli obiettivi sono di comunicazione e di vendita. I primi sono legati alla trasmissione dei valori del brand; gli obiettivi di vendita presuppongo invece la capacità di rendere lo spazio accogliente e favorevole all’acquisto. Nel rendere l’immaginario del brand, bisogna tendere alla creazione di un’atmosfera che sia “aspirazionale” per il target di riferimento, un mood che rifletta il sogno del possibile cliente. Ma il progetto di un punto vendita, e parlo di negozi non di centri commerciali, non è soltanto questo ma anche la progettazione di uno spazio che sia empatico, accogliente, che consenta e conduca in un percorso senza che si abbia l’iniziale intenzione di seguirlo: il cliente deve poter far il giro completo del negozio in modo subliminale, senza accorgersene.

L’identità e i valori del brand da una parte e il luogo in cui ci si inserisce dall’altro.

A questi obiettivi, si deve sempre affiancare quello di migliorare – o non peggiorare – il contesto in cui si trova il negozio. Il progettista deve porsi la domanda: che cosa sto inserendo in quel luogo? Il brand non può non tenerne conto: quello che cerchiamo di realizzare in Cina è diverso da quello che realizziamo in Europa, a Londra per esempio. Le sensibilità sono diverse e dobbiamo andare loro incontro se vogliamo avere successo.
Un esempio molto chiaro: in Oriente, quasi sempre, le vie della moda non sono composte da edifici storici e se immaginiamo il fronte dobbiamo progettarlo con un impatto forte sulla possibile clientela locale. La stessa facciata trasportata in Europa sarebbe vista in modo completamente diverso, forse un po’ sopra le righe; viceversa, la scelta europea portata in Oriente, potrebbe essere letta come “troppo timida”.

Quando ho progettato nel ’94 a New York il negozio Max Mara su Madison Avenue, per tre giorni ho fotografato le facciate e gli edifici della zona in cui si trovava, l’Upper East Side. Il landlord ha dato il permesso di cambiare l’esterno come volevamo, ma questo non giustificava un intervento indiscriminato. Si deve intervenire con un obiettivo di miglioramento globale: da una parte la comunicazione del brand e il fatturato, dall’altra la città.

Un progetto che l’ha particolarmente coinvolta?

Il negozio Max Mara di New York a SoHo, su West Broadway: abbiamo avuto la possibilità di costruire un edificio commerciale dal nulla, da un parcheggio, in una zona di Manhattan così particolare. Abbiamo fatto dei ragionamenti sul contesto, trasferendoli nell’idea di architettura. E all’interno di questa si fonde quella del negozio, che diventano un tutt’uno, rispecchiando come Max Mara vedeva sé stessa, in quegli anni, in quel contesto. Non sarebbe stata la stessa cosa se ci fossimo trovati a Parigi o a Roma. E siamo riusciti nell’obiettivo anche nel rispetto del budget che era stato messo a disposizione. Architectural Record ha scelto questo progetto e l’ha pubblicato in un articolo sui progetti che avevano migliorato l’aspetto della città.

L’altra faccia dello shopping – l’e-commerce, che sembra stia minando il terreno al retail.

Penso che siamo ancora all’inizio. In Oriente è già una realtà molto importante ma da noi non so fino a che punto si percepisca, perché l’online si è inserito temporalmente in una crisi del commercio su strada che già esisteva. Quindi non è facile capire che cosa sia dovuto alla crisi e che cosa sia dovuto allo spostamento dell’acquisto dal negozio al web. Quello che si pensa oggi – e vedremo se sarà vero negli anni prossimi – è che il negozio deve essere sempre di più il luogo in cui si fa esperienza del brand e non necessariamente si acquista: questo passaggio può essere fatto anche dopo sul sito.

In Thailandia abbiamo realizzato recentemente un punto vendita per un brand locale dove la narrazione e “l’instagrammabilità” sono stati il filo conduttore della progettazione. In Italia abbiamo contribuito alla definizione del nuovo format Max&Co, dove, oltre alla dimensione del racconto è stata valutata la possibilità, per il cliente, di accedere ad esperienze diverse nell’arco del tempo.

Cosa consiglierebbe a un giovane architetto o designer che desidera intraprendere la sua strada, specializzandosi nel retail?

Rischio di essere banale ma la caratteristica principale che consiglio sempre è la curiosità. Se poi avrà la possibilità e la fortuna di lavorare per un’azienda in modo continuativo, il mio consiglio è di non fermarsi ma di continuare a sperimentare, ascoltando anche punti di vista diversi.

Chi assumerebbe?

Chi ha curiosità e passione. Ha la possibilità di venir bene solo quello che ci piace fare.


Caterina Lunghi

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