Ritratto di Alessandro Squarzi, l’imprenditore poliedrico che ha personalizzato il concetto di stile
Una personalità scoppiettante e poliedrica, quella di Alessandro Squarzi, imprenditore originario di Forlì che dagli anni ’90 racconta – in modo personale e inconfondibile – non solo la sua storia con l’idea di stile ma anche lo stile italiano stesso. Non dimentichiamo, infatti, che è stato l’ideatore di diversi importanti brand, basti pensare a Fortela, AS65 e Atlantic Stars.
Impareggiabili, inoltre, le sue doti da talent scout e da grande collezionista di vintage (nonché di auto e moto d’epoca).
Lo abbiamo intervistato, consapevoli del fatto che è raro e prezioso poter dialogare con personalità così originali e impattanti.
Può raccontarci la sua storia partendo dalle origini, descrivendo le emozioni legate ai diversi momenti della sua vita e del suo lavoro?
Difficile rispondere dopo tutti questi encomi. Per raccontare la mia storia non basterebbe un’intervista, ma ci vorrebbe un libro! Per fare una sintesi, il lavoro che porto avanti da diversi anni è il frutto prima di tutto di una scelta, effettuata dopo aver scoperto quelli che erano i miei talenti, che ho deciso di far diventare il mio lavoro. Sono convinto che ognuno di noi abbia dei talenti da scoprire e far emergere. Se dovessi contestualizzare la gioia e la passione, sicuramente le collegherei al mio lavoro, mettendo al primo posto la passione. E devo ammettere che, in questo ambito, ho vissuto tante gioie. Tuttavia, timore e preoccupazione sono quotidiani, perché ogni volta che realizzo qualcosa, mi interrogo su come migliorarla, cercando di capire dove ho sbagliato per non ripetere gli stessi errori. La passione per ciò che faccio è sempre la forza che mi guida.
Eppure il filo conduttore della sua storia resta la moda, vista non solo come un prodotto, ma una materia viva, capace di modellare vite e persone.
Qual è il segreto nel “trattare” questa materia? Come fa a intercettare tendenze e a sviluppare progetti che poi diventano di interesse nazionale e non solo?
Innanzitutto, toglierei la parola “moda”, un concetto che non mi appartiene e che non mi è mai appartenuto. La sostituirei invece con “stile”, che ha un significato molto diverso. Come faccio a intercettare le tendenze? Per chi non lo sapesse, possiedo un archivio di 9.500 capi, che non sono capi “di tendenza” né firmati. Si tratta di abiti realizzati per lavorare (workwear), capi militari, capi western, denim, pelle, maglieria, tutti risalenti agli ’40, ’50 e ’60, dai quali attingo quotidianamente per avere l’ispirazione nella creazione delle mie collezioni. A differenza di avere un capo di moda, un capo che ha uno stile e una storia è come avere una vecchia Porsche nel garage: quando la usi o ti presenti da qualche parte, non sei mai fuori luogo né fuori moda. Questo, a mio parere, è il segreto per evitare la moda e, invece, rincorrere uno stile autentico. Oggi tutti parlano di comprare meno e preferire capi di qualità, fatti per durare. Si tratta di un mantra che professo da diversi anni. Ed è proprio per aver esternato questo concetto che sono stato escluso dai salottini della moda, perché andava contro gli interessi del “circo del fashion”. Ancora oggi sostengo che bisogna comprare meno, ma comprare meglio. E, soprattutto, dal momento che siamo sempre più attenti agli ingredienti e alla provenienza di ciò che ingeriamo e mettiamo sulla nostra tavola, dovremmo iniziare a fare lo stesso con ciò che indossiamo. Vi invito quindi ogni qualvolta compriate un capo di abbigliamento a controllare l’etichetta di provenienza di produzione e la composizione, poiché indossare fibre sintetiche è dannoso per il corpo e di conseguenza la salute. Purtroppo, dietro alla produzione estera, non solo manca la qualità, ma spesso c’è anche lo sfruttamento del lavoro, compreso quello minorile. Credo sia giusto sensibilizzarsi anche su questo aspetto. È fondamentale continuare a supportare il più possibile, e dove possibile, il made in Italy, perché ciò crea un’economia circolare in cui le aziende possono continuare a generare lavoro in Italia, rafforzando il nostro tessuto sociale.
Quali dei suoi valori portanti ha trasmesso, ad esempio, nel brand Fortela? Il vintage può essere di supporto nelle nuove sfide del fashion system, soprattutto quelle che riguardano la sostenibilità?
Come accennato sopra, Fortela è studiato e creato per durare nel tempo. La nostra produzione è composta per il 70% da Made in Italy, per il 29% da Made in Japan e per il restante 1% da produzione estera. Per quanto riguarda la sostenibilità, utilizziamo solo fibre naturali, come lana e cotone, e lavoriamo a stretto contatto con una delle aziende più importanti nel riciclo delle materie prime: Manteco, un’eccellenza delle tessiture italiane. Proprio per questo abbiamo scelto di collaborare con il miglior partner, per garantire che il prodotto Fortela rispetti gli standard di qualità che noi richiediamo. Non meno importante, da quest’anno, anche i capi prodotti in Italia, in particolare i denim, saranno cuciti interamente con filo di cotone.
Sul web si può dire che viene spesso additato come un’icona della moda maschile, un genuino interprete del vero italian lifestyle. Cosa significa tutto ciò per lei? Sente delle responsabilità da questo punto di vista?
Sul web si dicono tante cose. Sostituirei l’espressione “icona della moda” con “icona di stile”, se dovessi essere definito in qualche modo. Mi piace molto la definizione “genuino”, perché mi rispecchia come persona e rispecchia anche le persone che mi seguono sui miei profili social. Lì, infatti, vedono ciò che è vero e reale: il mio modo di essere, di pormi con gli altri, il modo in cui ho scelto di espormi. Ho scelto di rispondere a tutti quelli che mi scrivono in privato perché la considero una grande forma di rispetto ed educazione. La responsabilità è, infatti, quella di dire, a volte con difficoltà, la verità, di responsabilizzare le persone a rincorrere i propri sogni, e non quelli degli altri. Bisogna capire che, a volte, ciò che si vede su Instagram è distonico, è come scegliere di farsi mettere del fumo negli occhi. Mi sento molto responsabile, soprattutto nei confronti dei giovani che mi seguono, e cerco sempre di dare loro consigli come se fossi un loro fratello maggiore e lo faccio con grande piacere.
Ha ragione, tra chi la segue presupponiamo ci siano molti giovani. Lei, d’altronde, è anche un talent scout.
La nostra Fondazione è un importante ente di formazione nel settore, dunque quali consigli darebbe a chi, come i nostri studenti, vuole avvicinarsi al mondo della moda? Quali sono, secondo lei, le caratteristiche vincenti in questo campo?
Ho la fortuna di essere seguito da una fascia di giovani molto importante. Quello che dico sempre a chi mi scrive per chiedermi consigli e pareri è di capire i propri talenti e metterli in atto, anche andando controcorrente, cercando di perseguire i propri sogni. Ed è esattamente ciò che ho fatto io quando ero ragazzo: sono andato contro tutti, mentre mi veniva detto che quello che facevo era sbagliato. Proprio la parola “sbagliato” è stata ciò che mi ha dato la forza di continuare. Dal mio punto di vista, la caratteristica vincente, in questo come in qualsiasi altro campo, è quella di portare avanti i propri valori, il proprio talento e, soprattutto, fare le cose con amore e passione. Ho sempre lavorato con dedizione, amore e passione, senza mai focalizzarmi sul denaro. Quello è stato semplicemente il risultato di un lavoro ben fatto.