Stampa tessile: ritorno agli anni ‘50 con la tecnica a corrosione
Dopo aver illustrato nel dettaglio le varie tipologie di stampa diretta, passiamo in rassegna le declinazioni di quella a corrosione. Come si intuisce dalla parola, la prima sostanziale differenza risiede nel procedimento: anziché applicare colore sul tessuto, qui lo si toglie mediante l’uso di sostanze chimiche. Appare perciò chiaro che la base debba necessariamente essere tinta e con questa deduzione abbiamo scoperto la prima delle varie caratteristiche che la rendono davvero unica!
Corrosione per bianco o per colorato
La stampa per corrosione ha, infatti, la peculiarità di essere effettuata su tessuti tinti con coloranti corrodibili che successivamente vengono stampati attraverso reattivi chimici che letteralmente “mangiano” le zone individuate dal pattern scelto, lasciandole bianche. I prodotti corrosivi possono essere di diversa natura ad esempio acidi, basi, ossidanti o riducenti. Quest’ultimi sono i più usati e agiscono durante la fase di vaporizzo ovvero sul tessuto scaldato a circa 160°C.
Quindi, dopo la tintura del fondo a cui segue l’asciugatura, si hanno due possibilità: terminare la lavorazione avendo un disegno bianco su fondo tinto oppure aggiungere colore alle aree portate al bianco. Nel primo caso è importante che il bianco sia perfetto, quindi è necessaria una corrosione totale del colorante di tintura – da ottenere con una successiva addizione di biossido di titanio al corrodente – mentre nel secondo, la corrosione può anche ammettere un residuo di colorazione del fondo delle parti del disegno su cui poi verranno applicati coloranti resistenti ai riducenti. In gergo tecnico si parla di “corrosione per colorato”.
Successivamente, il tessuto passa al vaporizzo, per ammorbidire e fissare il colore stabilizzando le dimensioni della pezza, infine, il lavaggio per eliminare i sottoprodotti della reazione chimica.
L’importanza dei coloranti
Si comprende pertanto quanto sia fondamentale selezionare coloranti perfettamente corrodibili per i fondi e coloranti perfettamente solidi al corrodente da utilizzare per colorare, normalmente conosciuti col nome di “colori illuminanti”. In particolare, per questi ultimi, spesso vengono usati coloranti al tino, detti anche leucocoloranti, composti da molecole insolubili rilasciati in una forma solubile e non colorante – detta leuco – mediante un processo chimico. Le fibre impregnate di questa forma solubile sono poi esposte all’aria, che si ossiderà, ritornando alla forma insolubile, ma colorata, con ottimi risultati di coprenza e brillantezza.
Dopo aver compreso le caratteristiche di questa tecnica, sono ancora due i nodi che rimangono da sciogliere: come si riconosce a occhio nudo e quando la si sceglie?
Certamente, riconoscerla nella stampa “per bianco” non è affatto semplice, anche se i bordi sono più definiti e precisi rispetto a quelli della stampa diretta. Ma nella stampa per colorato un piccolo segreto esiste! Se si osservano attentamente le zone colorate, è possibile infatti notare un piccolo bordino bianco frutto della sovrapposizione tra fondo corroso e colore.
L’uso
Quanto all’utilizzo, tale tecnica è particolarmente indicata per disegni multicolor su ampi fondi tinta unita. Alcuni tra gli aspetti positivi e da non sottovalutare sono la base tinta, che fa sì che dalla parte del verso la penetrazione del colore comparirà abbastanza uniforme e l’effetto brillante del colore, che difficilmente si riesce ad ottenere con la stampa in applicazione. Conferisce inoltre una mano estremamente morbida al tessuto perchè la stampa risulta impercettibile al tatto.
Questa tecnica era molto in voga negli anni ’50 per abbellire con piccoli elementi bianchi le bluse in seta delle prime donne lavoratrici, mentre negli ultimi anni è utilizzata come “fondino” (base neutra, spesso di t-shirt) sovrastampabile con inchiostri plastisol che consentono effetti metallici, glitter, ecc. o a base acqua, ma anche effetti vintage. Può essere anche scelta per ovviare alla mano plastica e pesante di questi inchiostri plastisol in nome della morbidezza.
L’archivio della Fondazione Fashion Research Italy conserva diversi esempi di disegni realizzati con questa tecnica, di cui alcuni antichi, probabilmente risalenti proprio agli anni ‘50 per il gusto dei motivi a quadretti e a piccoli segni che si sovrappongono, ma anche di più recenti come un grazioso all over di coniglietti su fondo rosso andato in incisione per Aspesi, che si prestano ad essere rielaborati da designer desiderosi di lasciarsi ispirare dalla ricerca condotta tra materiali storici!