A tu per tue con Renzo Brandone e Bona Mastruzzi: 40 anni di textile design
Il fondo di disegni di textile design Renzo Brandone, frutto di quasi 40 anni di ricerca e passione del converter milanese, è ora custodito dei due caveau termoregolati di FRI.
Brandone ha infatti accettato l’offerta del presidente della Fondazione Fashion Research Italy, Alberto Masotti, di cedere il suo archivio e trasferirlo nella sede bolognese di via del Fonditore, evitando così che l’importante heritage aziendale venisse disperso.
Si legge negli sguardi di Renzo Brandone e della signora Bona Mastruzzi un senso di malinconica gioia: rievocare la storia dell’azienda Converter Silkin, significa raccontare non solo alcune pagine importanti della stampa di moda ma anche le loro personali esperienze: vite intrecciate in un rapporto di assoluta professionalità e oggi unite da un senso di profonda stima e solidale amicizia che si è ulteriormente rinsaldata in occasione della catalogazione del Fondo per il quale, come ai vecchi tempi, si sono incontrati tutti i giorni, per un anno e mezzo, nella vecchia sede di Porta Venezia.
Renzo Brandone, lei viene da una famiglia di tessutai, fu suo padre a decidere che avrebbe potuto “farsi le ossa” nell’azienda dell’amico Pontremoli, la Sisam. Lì avrebbe conosciuto quello che sarebbe stato il suo socio per molto tempo…
Erano tempi in cui le idee e la voglia di fare non mancavano. Presso Pontremoli ho imparato moltissimo e lì conobbi Gerolamo Etro. Non era ancora il “Gimmo” stilista, che conosciamo tutti. Entrambi eravamo giovani, si innamorò di una figlia di Pontremoli e si sposarono. Le cose poi cambiarono, decidemmo di avviare un’attività converter assieme; poi, si sa, le cose non sono per sempre e così decidemmo di separare i nostri destini professionali.
Chiusa l’esperienza con Etro ha deciso di mettersi in proprio, di qui inizia la sua avventura che ha dato vita nel tempo alla preziosa raccolta di art textures per la moda, oggi della Fondazione Fashion Research Italy…
Sì. Ho fondato a metà degli anni ’70 la mia azienda e differentemente dalle altri converter, avevo deciso di non basare il businness su una collezione di textile design unica da portare nelle varie fiere campionarie del settore. Era questa una prassi comune allora come oggi, era quello che facevo con Etro. Decisi così di differenziarmi dagli altri: fu una scommessa e posso dire giunto a questo punto, vincente!
Avrei fatto consulenza: gli stilisti si sarebbero rivolti alla mia società per ricerche ad hoc su particolari trend e motivi di stampa, secondo un approccio esclusivo.
Per assecondare i gusti e le intuizioni dei designer, ma anche per anticiparli, avevo dunque bisogno di tessuti, disegni, fotografie e libri capaci di ispirare il mio team di lavoro per concretizzare i desideri e le visioni creative dei miei clienti.
A proposito di team: lei, Bona Mastruzzi, è la memoria storica di ogni acquisto realizzato e ogni consulenza data per più di un ventennio di vita della Silkin…
I miei primi passi nel fashion system li ho mossi a Bologna, lavorando per La Perla. Poi, quando mi sono trasferita a Milano, ho subito accettato la proposta di lavorare accanto a Renzo. Concretizzare il suo progetto imprenditoriale era per me una grande sfida.
Amavo e amo la moda. Tutto parlava di moda: ogni cosa mi sembrava traducibile in un trend di stampa.
Nel tempo la società avrebbe acquisito un numero enorme di clienti: abbiamo lavorato per Armani, Versace, Aspesi, Ralph Lauren, Dolce & Gabbana. Miuccia Prada per il suo primo disegno venne da noi. Gli stilisti ci telefonavano e ci chiedevano ricerche ispirate a un film, a un piatto culinario, a un luogo turistico particolarmente in voga in quel momento. E io ero lì, pronta a scatenare la mia fantasia…
Brandone, perché ha deciso di cedere l’archivio alla Fondazione?
A convincerci è stato il fatto che la Fondazione ha da subito sottolineato come il rigoroso impianto catalografico avrebbe rispettato la complessità produttiva dell’azienda, non limitandosi a esporre una carrellata di disegni, ma preservando un tassello importante, in termini di cultura industriale, della storia di questa impresa.
Dopo aver speso una vita per costruire, l’idea di dover vendere a realtà lucrative – (avevo avuto molte offerte fra cui la Fashion Library di Londra e New York)- che avrebbero smembrato il patrimonio mi rattristava. Quando è giunta così la proposta della Fondazione che, informata, voleva contrastare appunto la dispersione della raccolta e mantenerla in Italia ne fui subito entusiasta e riconoscente.
Mastruzzi, cosa attende ora la collezione?
Questo patrimonio di immagini e tessuti è stato completamente catalogato e digitalizzato. Dare le indicazioni tecniche, che solo io potevo sapere, per ogni scheda e stato ripercorrere, come in un film, una parte importante della mia vita.
A Bologna è ospitato nei due enormi caveau della Fondazione in via del Fonditore. Gli ambienti sono stati concepiti appositamente per conservare secondo parametri rigorosi i materiali e per salvarli così dall’azione del tempo.
Sapere che questa imponente raccolta possa tornare a vivere ed essere di nuovo utile per le aziende della moda, anche grazie ai mezzi digitali, mi riempie di felicità.
Per maggiori informazioni, scrivere a: archivio@fashionresearchitaly.org