Roberto Collina: l’intervista al CEO del family brand che ha conquistato il mondo
Una conduzione familiare, un piccolo laboratorio di maglieria con scuola annessa, la realtà bolognese, tutto farebbe pensare a un progetto rimasto confinato nelle mura della città dotta, ma non è stato così. Questo perché Roberto Collina, con l’amore e la perseveranza della famiglia che lo ha gestito e gestisce, gradualmente è diventato il centro virtuoso di un territorio che rappresenta il cuore pulsante del sistema maglieria italiana, ma soprattutto un brand iconico e spiccatamente Made in Italy, basato sul rispetto del proprio heritage e valori di autenticità ed eticità.
Ne abbiamo parlato con lo stesso Roberto Collina, CEO e founder del brand, che ci ha accolto con la ponderatezza tipica di chi ha fatto della propria passione un lavoro, conscio del duro lavoro che sempre sottende (e non dovrebbe mai essere dimenticato) una storia di successo.
Un family brand i cui natali risalgono al primo dopoguerra, le va di ripercorrerne la storia dalle origini?
Nacque tutto dall’intuito di mio padre. Ai tempi si improvvisò agente di commercio, vendendo macchine di maglieria nelle campagne emiliane. Luoghi in cui non esisteva alcuna scuola specializzata in questo campo. Con mia madre, allora, decise di aprirne una. Fornivano la macchina e vendevano le istruzioni. In questa scuola si sono formate molte “magliaie” che, in seguito, hanno fondato vere e proprie aziende del settore. Nel corso del tempo, tutto questo è accresciuto sempre più e si è cominciato a produrre per i mercati stranieri, in particolare per Germania, Francia e Stati Uniti. Lo si faceva con quantità e volumi di filato enormi. Ci si è poi occupati della produzione bambino, per passare in seguito alla vera e propria collezione bambino-uomo-donna. Inizialmente, lo si faceva per mercati stranieri e poi per conto terzi. Con l’avvento della globalizzazione la concorrenza dei produttori cinesi, greci e turchi è stata più forte poiché questi sono riusciti a produrre grandi quantità a costi bassissimi. Dunque, le aziende italiane del nostro settore hanno dovuto adattarsi al nuovo mercato. Noi abbiamo cambiato totalmente assetto. Ci siamo occupati di una prima collezione, modificando le impostazioni di lavoro. Abbiamo dovuto “inventarci il mestiere”, utilizzando materie qualitativamente pregiate e riferendoci a una clientela disponibile ad accettare nuove condizioni al livello di tempi, costo, qualità e più basse quantità.
E così negli anni ’80 è avvenuto il debutto ufficiale nel panorama fashion internazionale. Da allora a oggi, quali sono rimasti i punti di forza del marchio?
Esatto, come le dicevo, a un certo punto tutto è dovuto cambiare. Negli anni ’80 abbiamo realizzato la nostra piccola collezione, soprattutto uomo. Era una collezione snella, composta da circa una trentina di capi. Da principio abbiamo partecipato alla manifestazione Pitti Uomo, esponendo la collezione all’hotel Baglioni.
Molti sono i nostri punti di forza. Beh, ad esempio, siamo sempre rimasti fedeli all’idea di “Made in Italy”, la produzione è infatti prettamente locale. Inoltre, teniamo a utilizzare materie prime di altissima qualità, anche considerando la natura stessa della lavorazione (ci occupiamo di “filato fantasia” e non solo “unito”). Infine, posso dire che non abbiamo mai smesso di fare ricerca e di aprirci all’innovazione.
L’azienda, quindi, ha a cuore una produzione italiana artigianale che rispetta valori di eticità e autenticità. Quanto è complesso portare avanti una mission del genere in un mondo spesso votato alla voracità del “tutto e subito” che non considera la qualità?
È molto complicato. La nostra strategia attuale è incentrata sull’idea di mantenere nel prodotto qualcosa di unico e di cercare una nicchia di clienti che lo percepisca.
Con le nostre materie prime, i nostri colori e le nostre lavorazioni vogliamo presentare al pubblico qualcosa di diverso. È l’unicità a salvarci!
L’azienda porta avanti la trasmissione dei propri valori. Può dirci qualcosa sullo scouting nei confronti delle nuove generazioni di professionisti e sull’archivio storico che curate?
In archivio abbiamo circa 22.000 capi (in continua crescita, proprio per la ricerca di cui le parlavo) che stiamo digitalizzando. C’è un professionista che segue lo sviluppo e l’organizzazione dell’archivio, si tratta infatti di un patrimonio molto importante per l’azienda.
In generale, ciò che è difficile trovare oggigiorno è un personale che sappia lavorare su iter particolari, che abbia una certa preparazione.
Ad esempio, è molto difficile trovare persone che conoscano la tecnica del “rimaglio”, che è un sapere tramandato di altissima specializzazione. In questo campo, abbiamo lavoratori con un’età minima di cinquant’anni.
Siamo alla ricerca di un personale giovane disponibile ad apprendere che seguiremmo in modo adeguato e a cui daremmo la giusta preparazione.
Sul tema di prospettive positive per il futuro, invece, quali sono gli obiettivi e gli impegni che il brand si sta ponendo?
In una situazione di mercato attuale così difficile, penso che l’obiettivo più sensato sia proprio quello di mantenere le posizioni e consolidarle.
Nel nostro settore – come in tanti altri – c’è un prima e dopo Covid.
Prima del Covid il trend era linearmente in crescita, post Covid c’è stato un ottimo anno di esplosione non seguito da richieste in progressione. Ci sono state perdite notevoli anche su mercati che sembravano forti, come quello nipponico in particolare al calo dello Yen (-20/-30% c.a.)
Vogliamo rimanere un brand di riferimento nel campo della maglieria e per questo, sempre con passione ma anche tanto sacrificio, continuiamo a consolidare le nostre posizioni in Europa e a mantenere rapporti. A questo proposito continuiamo con la presentazione in temporary showroom di Milano e Parigi.
Inoltre, stiamo cercando di aprire un mercato anche negli Stati Uniti e di recuperare i rapporti con i clienti dell’Estremo Oriente (Corea e Giappone).