Tessuti ecosostenibili, come sceglierli e dove trovarli
La scelta dei materiali è uno dei tasselli che compongono il complicato puzzle della moda sostenibile. Ma cosa significa selezionare responsabilmente materie prime e materiali tessili? Lo abbiamo chiesto alla designer e sustainability consultant Giorgia Palmirani che, grazie alla pluriennale esperienza maturata nel campo della ricerca e del recupero di materiali naturali, nel 2011 ha fondato il suo brand di accessori SAISEI, termine giapponese che significa proprio recupero e rinascita.
Quanto è sostenibile la moda italiana?
Il tessile è un settore molto inquinante, questo lo sappiamo, e per cambiare questa tendenza dobbiamo cambiare il modello di business per far sì che il sistema impatti il meno possibile sull’ambiente. Per questo si parla di un passaggio da un modello cradle-to-grave a uno cradle-to-cradle. Nel primo caso il ciclo di vita di un capo è lineare (dalla culla alla tomba) perché viene prodotto, consumato e buttato mentre, nel secondo caso (dalla culla alla culla), un capo non muore mai ma rinasce continuamente potenzialmente all’infinito perché recuperato e riciclato.
L’ideale sarà ottenere dei materiali biodegradabili e la ricerca si sta adoperando in questo senso. Tuttavia il processo non è ancora compiuto perché ci sono alcuni ostacoli di natura normativa ma sono fiduciosa che presto si sbloccherà la situazione. In fondo non sono molti anni che differenziamo e recuperiamo la plastica, per fare un esempio.
C’è grande fermento nella ricerca di filati ecosostenibili, ma occorre anche imparare a trattare i materiali già esistenti.
Sì, in effetti il cambio di paradigma si applica guardando a più fronti contemporaneamente. Il consumatore in questo ha un ruolo strategico perché solo se inizia a porsi delle domande, lo stato delle cose potrà cambiare. La consapevolezza è fondamentale. Guardiamo a cosa è accaduto nel settore del food e della cosmetica: le persone, spinte dal timore di reazioni agli ingredienti, hanno imparato a leggere le etichette, ma anche i tessuti con cui sono fatti gli abiti che indossiamo comportano delle conseguenze, non solo per il pianeta, ma anche per la nostra salute. Per ottenere gli effetti desiderati infatti le fibre sono tinte e trattate con l’uso di moltissima chimica.
Allora andrebbe acquistato il cotone organico per evitare l’uso di pesticidi e impiegare meno acqua, oppure andrebbe favorita la coltivazione della canapa, come un’ottima alternativa meno impattante. Al contempo andrebbe allungato il ciclo di vita dei materiali permettendone un corretto smaltimento. È importante che la gente sappia che il cotone, così come la lane e altri materiali, possono rinascere grazie a raccolte mirate che ne consentano il riciclo. E infine manca un pizzico di comunicazione in più, anche sulle etichette: tracciabilità e trasparenza sono fondamentali.
Quali sono le fibre ecologiche più innovative e a che esigenze fanno fronte?
In Italia come all’estero, i materiali di derivazione vegetale sono il tema del momento. In Sicilia c’è Orange Fiber, un’azienda fondata nel 2014 da Adriana Santanocito ed Enrica Arena che produce un filato dalle bucce di arancia utilizzato anche da Ferragamo. Poi c’è Vegea che ottiene un materiale dagli scarti vitivinicoli paragonabile alla pelle come consistenza con cui Bentley ha realizzato gli interni delle sue automobili. Desserto è una startup messicana che ottiene una simil pelle con le foglie di cactus: proprio in questi giorni è stata premiata da LVMH Innovation Award. Anche le mele, le foglie di banano o l’ananas stanno diventando una materia prima appetibile ma personalmente trovo molto più interessante quella sfera chiamata biofabrication con cui si ottengono materiali da microrganismi come batteri, lieviti, alghe e funghi. Stella McCartney ha prototipato la sua celebre borsa Falabella con il Mylo, un biomateriale ricavato dal fungo micelio, esposta alla mostra Fashioned from Nature al Victoria and Albert Museum di Londra.
Come possiamo vedere, il lusso sta prestando una particolare attenzione a questi nuovi tessuti ecosostenibili e, come di solito accade, la situazione si muoverà con velocità anche su più larga scala. In questo scenario bisognerà capire come smaltire un materiale di questo tipo: è questa la condizione necessaria perché sia completamente biodegradabile.
Sfatiamo un mito: meglio pelle o ecopelle?
Sono tanti i fattori in campo da tenere a mente. Innanzitutto la nostra alimentazione: fintanto che ci ciberemo di carne, questa rimarrà un materiale di scarto che altrimenti verrebbe buttato via. Il settore conciario si è mosso da parecchi anni in questa direzione, facendo diventare la lavorazione della pelle sempre più sostenibile, specialmente nel caso della concia vegetale. D’altronde la produzione di pelle in Italia, e quindi il cosiddetto Made in Italy, garantiscono il rispetto di diverse regole e certificazioni in termini di sostenibilità ambientale. Chiaramente questo discorso vale per prodotti di alta qualità, frutto di un know-how centenario, che quindi hanno anche un prezzo medio-alto.
Anche il settore dell’ecopelle sta facendo passi in avanti: i materiali stanno diventando sempre più sostenibili, così come i processi. Ad esempio le spalmature con i bio-polioli ottenuti da canna da zucchero, mais o granturco.
Non c’è quindi una risposta precisa a questa domanda. In base ai propri gusti, si preferirà pelle o ecopelle. Quello che è certo è che in entrambi i casi l’Italia sta lavorando verso una maggiore sostenibilità nella moda.
Guardando al futuro: quando si potrà parlare di moda sostenibile?
Di lavoro da fare ce n’è ancora tanto ma ora la cosa più importante è cominciare. Occorre far passare il concetto che non c’è un unico modo per essere sostenibili e non è necessario esserlo al 100% da subito. Quello verso una moda etica, è un percorso virtuoso ma articolato, che deve partire oggi ma non è detto si concluda domani. Serve guardare il quadro di insieme valutando bene, di volta in volta, l’impatto delle scelte che si prendono. Prendiamo il caso del re-nylon di Prada o dell’Econyl, due materiali ottenuti dalla plastica, se un domani tutti li chiederanno, occorrerà produrne di nuova. O ancora, se per essere sostenibili facciamo arrivare materiale dall’altra parte del mondo, possiamo dire di avere a cuore l’ambiente oppure forse è meglio risparmiare in emissioni di CO2 e guardare a materie prime a km0?
Personalmente, trovo che la vera sfida da cogliere sia trovare innanzitutto il modo di trattare e rendere degradabile ciò che esiste già piuttosto che brevettare nuovi materiali. Ottime soluzioni per un futuro green ma ora è urgente pensare a come smaltire e recuperare ciò che ora è solo un rifiuto.