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Heritage Manager: le competenze essenziali per affermarsi nel fashion

Professionalità tra le più richieste nel panorama del lusso italiano e non, l’heritage manager si è affermato come la figura in grado di traghettare il passato e il patrimonio storico delle imprese nelle infinite declinazioni di valorizzazione futuribile che le attendono.

Ne parliamo con Alessandra Arezzi Boza – Founder di AAB-Studio, Brand heritage expert e fashion curator con più di vent’anni di esperienza al fianco di maison come Fendi, Emilio Pucci, Sergio Rossi, Armani.

Com’è cambiato il modo di intendere l’archivio di moda?

Sono diversi anni che mi dedico alla riorganizzazione e valorizzazione degli archivi e nel tempo è diventato tutt’altro lavoro. Quando ho iniziato, ad esempio, era un lavoro prettamente archivistico in cui si facevano le schede di catalogo sui registri Buffetti e si attaccava il cartellino scritto a mano al capo e il cui obiettivo principale era la conservazione.
L’heritage manager, già considerato fondamentale in altri Paesi, è diventata una professione rilevante in Italia solo negli anni 2000 e, come spesso accade, il mondo della moda ha fatto da apripista. All’epoca però l’unico obiettivo che ci si poneva era quello di salvare il prodotto, perché ritenuto dall’imprenditore “quello che mi rappresenta, quello che vendo, quello che sono”.

Oggi, una delle consapevolezze più importanti che abbiamo maturato è che il nostro Paese rappresenta il Made in Italy nel mondo e che dietro al prodotto c’è un know-how e che va preservato. È vero che il prodotto è la parte finale e che catalogarlo, fotografarlo, digitalizzarlo, restaurarlo e conservarlo affinché sia disponibile e fruibile è importantissimo però non è abbastanza. Poteva essere in passato, tant’è che quando mi chiedevano un progetto partivo da un’analisi delle collezioni, seguendo un business plan sulla base delle priorità. Ora tutto questo è dato assolutamente per scontato, anche se non è affatto semplice, soprattutto dovendo stare al passo con tutte le ultime innovazioni, ma la nuova sfida è incentrata sul come valorizzare e comunicare l’heritage.

Quali sono quindi le competenze necessarie per fare heritage management?

Prima di tutto è importante dire che sono competenze in costante evoluzione. È fondamentale avere una formazione e una metodologia provata, ma non bisogna dimenticare che stiamo parlando di archivi di prodotto moda, settore innovativo che, spesso e volentieri, anticipa i tempi. Direi che le fondamentali sono tre: cultura della moda, aggiornamento sulle tecnologie e competenze nei linguaggi della comunicazione. Chi si occupa di selezionare i materiali da conservare deve conoscere la storia e la cultura di questo settore, che non è costume ma è moda e ha uno stretto legame con tutta la parte industriale. Questo permetterà a chi si occupa di heritage management di essere in grado di selezionare capi importanti non solo dal punto di vista stilistico ma anche in quanto testimonianza dello sviluppo tecnologico, di ricerca dell’azienda.

Un altro aspetto fondamentale, dicevamo, è l’attenzione all’evoluzione tecnologica: oggi serve essere aggiornati su metodi di catalogazione, di ripresa fotografica, di digitalizzazione e su tutti i mezzi di conservazione digitale. Questo aspetto è diventato particolarmente rilevante dal 2004, quando questo mondo si è spostato dal fisico al digitale e tantissime realtà con uno storico di più di 40 anni hanno affrontato problemi completamente diversi di conservazione, riproduzione, copyright ecc…

Infine, la comunicazione, oggi diventata fondamentale nella gestione di un heritage department, non solo intesa verso l’esterno ma anche e, soprattutto, verso l’interno. Il fatto di avere un archivio, un tesoro da cui attingere, è una risorsa preziosa che va condivisa con chi lavora all’interno dell’azienda perché possa conoscere i processi, la storia ed essere orgoglioso di far parte di un gruppo. Non a caso recentemente molti brand hanno ripensato i propri heritage department trasformandoli in un importante strumento di comunicazione dei valori culturali/sociali oltre che estetico/formali del Brand.

Nella progettazione degli spazi i brand hanno tenuto conto di questo cambiamento riformulandoli non più come semplici spazi di conservazione ma come spazi multifunzionali. L’archivio dunque come laboratorio di ricerca, di lavoro, di formazione interna ed esterna, ma soprattutto di comunicazione e di rappresentazione dei valori del Brand.

Quali sono quindi gli aspetti che non possono essere trascurati per fare questo lavoro?

Credo sia importante stabilire sempre con il proprio committente – che sia un’azienda, un museo o una fondazione – degli obiettivi chiari e condivisi. Anche in progetti che oggi possono definirsi esempi di best practice come l’archivio di Dior ci sono state varie fasi di evoluzione del progetto: una volta identificati gli aspetti che l’azienda intendeva valorizzare è nato un progetto di comunicazione fortissimo, oltre che un luogo da cui attingere per la creatività.

Quando i mezzi e le risorse non mancano, le opportunità sono infinite, ma non sempre si è in questa situazione: per cui bisogna avere ben chiari gli obiettivi che si intende perseguire nel tempo. Questo perché si presuppone che l’archivio cresca continuamente – a meno che non si perdano i legami con l’azienda, come nel caso della Fondazione Yves Saint Laurent-Pierre Bergè diventata una fondazione a scopi culturali – e per far sì che ci sia una prospettiva nel tempo è necessario pianificare attentamente e selezionare cosa conservare. Per un Heritage Manager forse una delle cose più difficili è proprio scegliere. Mi sono trovata in più di un caso a voler conservare prodotti che tutti mi dicevano: “non è stato venduto, non era sulle copertine di Vogue, la stampa l’ha stroncato” però magari piacevano al designer oppure erano innovativi per tessuti e tecnologia. Quindi è difficile dire a priori cosa non trascurare, ma occorre un project management molto attento che medi sempre tra il progetto ideale e le reali aspettative e le esigenze dei committenti.

Un’ultima competenza che mi permetto di suggerire non possa mancare nel bagaglio di questa figura sono gli aspetti giuridici di tutela dei materiali. C’è una reale esigenza di mantenere tutta questa segretezza?

Se veramente ben costituito e organizzato, se rispondente agli obiettivi, un archivio custodisce i codici di un’azienda ed è quindi sicuramente importante comunicarne l’esistenza, soprattutto internamente a chi lavora. Non soltanto se si tratta di un archivio di prodotto, ma anche fotografico, di forme, se parliamo di scarpe, di modelli e cartamodelli, se parliamo di abbigliamento o di stampe e disegni se parliamo tessuti . All’interno di un’azienda e in accordo con la proprietà vengono stabiliti i criteri di accesso: c’è chi può vedere tutto e chi può vedere molto meno. È normale che ci sia un filtro studiato, soprattutto considerando il fatto che oggi, soprattutto nella creatività, c’è un alto turnover nelle aziende e che l’accesso agli archivi rivela sempre un mondo di idee, spunti, stili importantissimi. Quindi è chiaro che questo aspetto della tutela, più che della segretezza, è fondamentale. Per quando riguarda invece l’apertura verso l’esterno è ovvio che comunica solo ciò che è stato già elaborato, organizzato, codificato. L’archivio può diventare uno strumento di comunicazione fortissimo e non a caso molti brand oggi usano il “dietro le quinte” dell’Archivio, allo stesso modo di quello degli atelier, tanto da farlo diventare una “nuova” esperienza del Brand.

Un esempio interessante, a questo proposito quello di Max Mara, tutti gli addetti ai lavori sanno che lavoro fantastico l’azienda ha fatto sull’Heritage: infatti oltre all’archivio aziendale nel tempo è stata creata una collezione con pezzi straordinari che nulla hanno da invidiare ad un museo della moda; ma fino a pochissimo tempo fa era un dispositivo a servizio esclusivamente dell’azienda. Per promuovere l’ultima collezione, invece, che riproponeva anche alcuni pezzi iconici della storia di Max Mara l’idea forte della comunicazione è stata quella di invitare alcune importanti influencers a scoprire gli spazi dell’archivio e scegliere il loro pezzo storico preferito. E questo ci dice molto su come sia cambiata la prospettiva in pochissimo tempo.


Claudia D'Angelo
Responsabile dell’archivio di textile design e del progetto Punto Sostenibilità della Fondazione Fashion Research Italy di Bologna, è anche curatrice del percorso Archivi della Moda e del corso Green Fashion. Necessità e strumenti per una moda sostenibile, svolgendo anche attività di consulenza e di divulgazione per la costituzione e valorizzazione degli archivi di settore. È stata inoltre responsabile dell’archivio digitale di Aeffe Fashion Group, di cui ha curato la prima costituzione. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia dell’arte contemporanea all’Università di Bologna ed è stata Visiting PhD presso l’Harvard University (USA), conducendo attività di ricerca sui temi della moda e dell’arte contemporanea.

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